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La figlia dei draghi
Morgan Rice


L’era degli stregoni #3
“Ha tutti gli ingredienti per il successo immediato: trame, contro trame, misteri, cavalieri valorosi e relazioni che nascono e finiscono con cuori spezzati, delusioni e tradimenti. Ti terrà incollato alle pagine per ore e accontenterà persone di ogni età. Consigliato per la libreria di tutti i lettori fantasy.”

–-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su L’Anello dello Stregone)



“Siamo davanti all’inizio di qualcosa di davvero straordinario.”

–-San Francisco Book Review (su Un’Impresa da Eroi)



Dall’autrice di bestseller numero uno, Morgan Rice, e autrice di Un’Impresa da Eroi (più di 1.300 recensioni a cinque stelle) arriva il debutto di una nuova e sorprendente serie fantasy.



In LA FIGLIA DEI DRAGHI (L’era degli stregoni—Libro terzo) Lenore torna sana e salva al Nord, ma non senza un prezzo. Suo fratello Rodry è morto e suo padre, Re Godwin, è in coma. Con il dominio del Nord in discussione, il suo infido fratello Vars potrebbe avere accesso al timone del regno.



Ma Vars è un codardo e Re Ravin, ripreso dalla sconfitta, mobilita l’intero Sud per invadere il Nord. La capitale del nord, mai assediata, è protetta da canali e maree; tuttavia, Ravin non ha problemi a perdere decine di uomini.



Pare che la battaglia piГ№ epica di sempre sia sul punto di scoppiare.



Devin deve impegnarsi per conoscere la sua vera identitГ  e forgiare la spada incompiuta, ma ГЁ distratto e ha compreso di essersi innamorato di Lenore. Lenore, perГІ, ГЁ intrappolata in un ripugnante matrimonio, uno che potrebbe minacciare la sua stessa vita.



Renard, con il suo audace furto, è in fuga dagli Invisibili, ansiosi di recuperare l’amuleto che può controllare i draghi.



E Nerra si sveglia per trovarsi trasformata in qualcos’altro, qualcosa di meraviglioso, mostruoso, potente e ignoto. Sarà lei a dominare nel mondo dei draghi?



L’ERA DEGLI STREGONI è una saga di amore e passione; di rivalità tra fratelli; di roghi e tesori nascosti; di monaci e guerrieri; di onore e gloria; e di tradimenti, fato e destino. È un racconto che non riuscirai a mettere giù fino a notte fonda, che ti trasporterà in un altro mondo e ti farà innamorare dei personaggi che non dimenticherai mai. Si addice a uomini e donne di qualsiasi età.



Il libro quarto sarГ  presto disponibile.



“Un fantasy vivace… Solo l’inizio di ciò che promette essere un’epica serie young adult.”

–-Midwest Book Review (su Un’Impresa da Eroi)



“Pieno di azione… Lo stile di scrittura di Rice è compatto e la premessa intrigante.”

–-Publishers Weekly (su Un’Impresa da Eroi)





Morgan Rice

LA FIGLIA DEI DRAGHI




LA FIGLIA DEI DRAGHI




(L’ERA DEGLI STREGONI – LIBRO TERZO)




MORGAN RICE



Morgan Rice

Morgan Rice è autrice numero uno e oggi autrice statunitense campionessa d’incassi delle serie epiche fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende diciassette libri; della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO, che comprende dodici libri; della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende tre libri; della serie epica fantasy RE E STREGONI, che comprende sei libri; della serie epica fantasy DI CORONE E DI GLORIA, che comprende otto libri; della serie epica fantasy UN TRONO PER DUE SORELLE, che comprende otto libri; della serie di fantascienza LE CRONACHE DELL’INVASIONE, che comprende quattro libri; della serie fantasy OLIVER BLUE E LA SCUOLA DEGLI INDOVINI, che comprende quattro libri; della serie fantasy COME FUNZIONA L’ACCIAIO, che comprende quattro libri; e della nuova serie fantasy L’ERA DEGLI STREGONI, che comprende due libri (e altri in arrivo). I libri di Morgan sono disponibili in formato stampa e audio e sono stati tradotti in più di 25 lingue.



Morgan è felice di restare in contatto con i suoi lettori, quindi non peritarti a visitare il sito www.morganricebooks.com (http://www.morganricebooks.com/) per unirti alla sua mailing list, ricevere un libro e giveaway gratuitamente, scaricare l’app gratuita, restare aggiornato sulle ultime notizie esclusive e connetterti via Facebook e Twitter!



Selezione di lodi a Morgan Rice

“Se credi di non avere più un motivo per vivere dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, ti sbagli. In L’ASCESA DEI DRAGHI, Morgan Rice ha inventato quella che promette di essere un’altra serie brillante, immergendoci in un fantasy di troll e draghi, valore, onore, coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a produrre una serie di personaggi forti che ci fa tifare per loro a ogni pagina… Consigliato nella libreria di tutti i lettori che amano i fantasy ben scritti.”



В В В В --Books and Movie Reviews
В В В В Roberto Mattos



“Un fantasy colmo d’azione che piacerà senz’altro a tutti i fan dei libri precedenti di Morgan Rice, insieme a quelli di lavori come IL CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini…. I fan dello Young Adult divoreranno quest’ultima opera di Rice e pregheranno per leggerne altre.”



    --The Wanderer,A Literary Journal (su L’Ascesa dei Draghi)



“Un fantasy vivace che intreccia elementi di mistero e intrigo nella sua trama. Un’impresa da eroi riguarda il coraggio e il raggiungimento di un obiettivo di vita che conduce alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per coloro che cercano avventure fantasy dense di contenuti, i protagonisti, gli utensili e l’azione forniscono una vigorosa serie di incontri che mette bene a fuoco l’evoluzione di Thor da un bambino con la testa fra le nuvole a un giovane uomo che affronta circostanze impossibili per la sopravvivenza… Solo l’inizio di ciò che promette essere un’epica serie young adult.”



В В В В --Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per il successo immediato: trame, contro trame, misteri, cavalieri valorosi e relazioni che nascono e finiscono con cuori spezzati, delusioni e tradimenti. Ti terrà incollato alle pagine per ore e accontenterà persone di ogni età. Consigliato per la libreria di tutti i lettori fantasy.”



В В В В --Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“In questo primo libro fatto di azione dell’epica serie fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin "Thor" McLeod, il cui sogno è unirsi alla Legione d’Argento, i cavalieri d’élite al servizio del re… Lo stile di scrittura di Rice è compatto e la premessa intrigante.”



В В В В --Publishers Weekly



LIBRI DI MORGAN RICE

L’ERA DEGLI STREGONI

IL REGNO DEI DRAGHI (Libro #1)

IL TRONO DEI DRAGHI (Libro #2)

LA FIGLIA DEI DRAGHI (Libro #3)



OLIVER BLUE E LA SCUOLA DEGLI INDOVINI

LA FABBRICA DELLA MAGIA (Libro #1)

LA SFERA DI KANDRA (Libro #2)

GLI OSSIDIANI (Libro #3)

LO SCETTRO DI FUOCO (Libro #4)



LE CRONACHE DELL’INVASIONE

MESSAGGI DALLO SPAZIO (Libro #1)

L’ARRIVO (Libro #2)

L’ASCESA (Libro #3)

IL RITORNO (Libro #4)



COME FUNZIONA L’ACCIAIO

SOLO CHI LO MERITA (Libro #1)

SOLO CHI Г€ VALOROSO (Libro #2)

SOLO CHI Г€ DESTINATO (Libro #3)



UN TRONO PER DUE SORELLE

UN TRONO PER DUE SORELLE (Libro #1)

UNA CORTE DI LADRI (Libro #2)

UNA CANZONE PER GLI ORFANI (Libro #3)

UN LAMENTO FUNEBRE PER PRINCIPI (Libro #4)

UN GIOIELLO PER I REGNANTI (Libro #5)

UN BACIO PER LE REGINE (Libro #6)

UNA CORONA PER GLI ASSASSINI (Libro #7)

UN ABBRACCIO PER GLI EREDI (Libro #8)



DI CORONE E DI GLORIA

SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1)

FURFANTE, PRIGIONIERA, PRINCIPESSA (Libro #2)

CAVALIERE, EREDE, PRINCIPE (Libro #3)

RIBELLE, PEDINA, RE (Libro #4)

SOLDATO, FRATELLO, STREGONE (Libro #5)

EROINA, TRADITRICE, FIGLIA (Libro #6)

SOVRANA, RIVALE, ESILIATA (Libro #7)

VINCITORE, VINTO, FIGLIO (Libro #8)



RE E STREGONI

L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)

L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)

IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)

LA FORGIA DEL VALORE (Libro #4)

IL REGNO DELLE OMBRE (Libro #5)

LA NOTTE DEI PRODI (Libro #6)



RE E STREGONI: UN RACCONTO BREVE



L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI RE (Libro #2)

DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)

GRIDO D’ONORE (Libro #4)

VOTO DI GLORIA (Libro #5)

UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)

RITO DI SPADE (Libro #7)

CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)

UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)

UN MARE DI SCUDI (Libro #10)

UN REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)

LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)

LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)

GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)

SOGNO DA MORTALI (Libro #15)

GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)

IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)



LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI (Libro #1)

ARENA DUE (Libro #2)

ARENA TRE (Libro #3)



LA CADUTA DEI VAMPIRI

PRIMA DELL’ALBA (Libro #1)



APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

TRADITA (Libro #3)

DESTINATA (Libro #4)

DESIDERATA (Libro #5)

PROMESSA (Libro #6)

SPOSA (Libro #7)

TROVATA (Libro #8)

RISORTA (Libro #9)

BRAMATA (Libro #10)

PRESCELTA (Libro #11)

OSSESSIONATA (Libro #12)


Sapevate che ho scritto tantissime serie? Se non le avete lette tutte, cliccate sull’immagine qua sotto e scaricate il primo libro di una di esse!








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Copyright © 2020 di Morgan Rice. Tutti i diritti sono riservati. Eccetto come consentito dal Copyright Act del 1976 degli Stati Uniti d’America, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in nessuna forma e mediante alcun mezzo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previo consenso dell’autrice. La licenza di questo ebook è concessa solo per uso personale. Questo ebook non può essere rivenduto, né ceduto a terzi. Se si desidera condividere questo libro con un’altra persona, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se si sta leggendo questo libro senza averlo acquistato, o se non è stato acquistato per uso personale, si prega di restituire la copia e acquistarne una propria. Grazie per rispettare il duro lavoro di quest’autrice. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e fatti sono il frutto dell’immaginazione dell’autrice o sono utilizzati a puro scopo di intrattenimento. Qualsiasi richiamo a persone reali, viventi o meno, è puramente casuale. Copyright dell’immagine di copertina di Aphelleon, usata secondo la licenza di istockphoto.com.




CAPITOLO PRIMO


La Regina Aethe era inginocchiata accanto al letto di suo marito e osservava il suo corpo immobile dietro alle lacrime, mentre il mondo le collassava addosso. Aveva perso traccia del tempo che aveva trascorso lì; il suo dolore faceva sfumare il giorno nella notte e viceversa, e accettava il cibo solo quando le domestiche la imploravano di mangiare, ma appariva come cenere anche allora.

La stanza era ricca nel suo sfarzo, con arazzi sistemati sulle pareti e mobili costruiti con i legni piГ№ pregiati, provenienti da ogni angolo del Regno del Nord. Niente di tutto ciГІ faceva una qualche differenza, nГ© le tazze indorate, nГ© i capi di seta, niente. Sembrava tutto grigio e cupo mentre Godwin giaceva inerte sul letto.

“Quando si sveglierà?” chiese al Dottor Jarran, che non faceva altro che scuotere la testa e tendere le dita grassottelle.

“Ho trattato le sue ferite al meglio che potevo,” rispose l’uomo. “Oltre a questo, mi dispiace mia Regina, ma non ho altre risposte.”

“Allora qual è la tua utilità qui?” domandò Aethe, mentre la rabbia si imponeva sulla sofferenza, sembrando l’unica cosa d’aiuto adesso. “Non hai potuto aiutare mia figlia. Non puoi aiutare mio marito. A cosa servi? Esci! Torna a cucire ferite e curare sciocche malattie!”

Era dura, ma tutto sembrava duro in quel momento. Il mondo intero era diventato un luogo di cime affilate e ombre tetre che le sottraeva le energie, rendendole difficoltoso persino tenersi in piedi. Non c’era nessuno che poteva darle conforto allora. Nonostante suo marito fosse circondato di guardie e domestici, Aethe si sentiva sola come fosse abbandonata nel mezzo di una pianura aperta.

“Perché nessuno può aiutarlo?” domandò, inginocchiandosi di nuovo accanto al letto, ma nessuno rispose. Nessuno osò farlo. Un pensiero disperato la raggiunse. “Dov’è il Maestro Grey?”

Quella era forse una domanda alla quale nessuno poteva dare risposta. Chi poteva sapere dove fosse il mago, o cosa stesse facendo? Aethe andò a una delle finestre della stanza, e persino quello richiese uno sforzo; fissò fuori la torre annessa al castello, cercando di scorgere l’uomo. Certo, non c’era niente, nessuno era lì seduto, in attesa di salvare Godwin.

Rivolse lo sguardo verso Royalsport, che si dispiegava sotto di lei. I corsi d’acqua erano in alta marea adesso e dividevano il regno nelle sue varie isole, ciascuna ospitante un distretto della città. Le mura racchiudevano gran parte di essa, ma una porzione si riversava al di là della cinta, come lo stomaco di un uomo grasso si ripiega oltre la cintura. I quartieri poveri giacevano a ridosso delle mura e si estendevano nella campagna retrostante. Le grandi Case si ergevano su tutto il resto: la struttura quadrata della Casa dei Commercianti svettava sul mercato, i colori sgargianti della Casa dei Sospiri sulla zona dei teatri, la Casa degli Accademici si innalzava in guglie intrecciate e la Casa delle Armi eruttava fumo come se le sue fornaci stessero preparando altre armi per la violenza.

Da dove si trovava, Aethe poteva già avvistare i segnali di quella violenza, i cavalieri e i soldati che preparavano i loro accampamenti fuori dalla città, le folle nelle strade che inglobavano più uomini sanguinari del solito. C’erano forze nobili così come quelle del Re, perché ovviamente ciascun duca o conte aveva dozzine di soldati con sé, pronti a eseguire i suoi ordini.

Aethe dette le spalle a quello scenario; non poteva sostenere ancora quella vista. Non poteva piГ№ sopportare niente di tutto ciГІ.

“Alzati, marito mio,” disse dolce, tornando al letto e appollaiandosi lì sopra. “Il tuo regno ha bisogno di te.” Si abbassò e gli sfiorò la fronte con le labbra. “Io ho bisogno di te.”

Suo marito non era l’uomo che era stato un tempo, e non solo perché l’età gli aveva ingrigito i capelli e smussato i muscoli, ammorbidendoli e coprendoli di massa grassa. Aethe era ormai abituata a questo, conosceva bene quei cambiamenti in lui, come conosceva ogni ruga e capello bianco comparsi sul suo stesso corpo. No, questo aveva più a che vedere con il suo pallore, con la sua pelle grigia ormai quasi quanto la sua barba, con il suo respiro così lieve da essere quasi assente. Era doloroso vederlo ridotto così.

Era troppo doloroso, in quel momento. Non poteva assistere a tutto ciГІ, non piГ№.

“Non possiamo perderti,” disse Aethe. “Rodry… tuo figlio è morto, Godwin.” Ad Aethe non era mai interessato molto dei figli di Godwin, perché erano un promemoria del suo primo matrimonio e di quanto aveva amato di più la sua prima moglie; ma, di essi, Rodry era stato il migliore. Greave era strano e ossessionato dai suoi libri, mentre Vars era… Aethe sussultò. “E… in quanto alle mie figlie, Nerra è scomparsa ed Erin si è gettata in battaglia come fosse un giovanotto.”

Almeno avevano riavuto Lenore. Lei era tornata, ed era salva e sposata, nonostante non avrebbe mai dovuto trovarsi in pericolo, nГ© avrebbe dovuto essere stata catturata, in primo luogo. Aethe doveva solo sperare che il suo matrimonio con Finnal fosse felice; confidava che lo fosse, nonostante il nervosismo di sua figlia prima delle nozze.

Per ora, però, avrebbero dovuto affrontare la minaccia dal Regno del Sud. Aethe aveva sempre pensato che nessun esercito potesse attraversare le spietate acque del fiume Slate, ma adesso tutti stavano dicendo che una forza stava penetrando il regno da est, tramite l’Isola di Leveros.

“Ti prego, svegliati,” disse, stringendo la mano di Godwin. “Temo che accadranno cose molto brutte, se non lo fai.”

“Non c’è niente da temere,” disse una voce dalla soglia. “Ho tutto sotto controllo, in quanto reggente.”

La Regina Aethe si voltГІ, mentre Vars entrava nella stanza.

Era dura esprimere quanto poco sembrasse un re il figlio di suo marito. Indossava un cerchietto d’oro, ma era più minuto di suo marito, appariva più debole, con quei suoi capelli di un castano spento e torbido e i tratti anonimi. I suoi indumenti erano raffinati, ma erano macchiati di vino. Oltre a questo, c’era qualcosa in Vars che non le era mai piaciuto. Di certo Godwin non avrebbe mai voluto che fosse lui a sostituirlo al trono.

“Come siamo arrivati a questo?” chiese Aethe, consapevole che Vars doveva condividere il suo dolore, nonostante fossero minime le altre cose in comune. “Come hanno potuto portare mia figlia a sud e uccidere tuo fratello? Com’è potuto cadere tuo padre, proprio nel momento in cui il Regno del Sud ci sta attaccando?”

Quella era la parte che accresceva di più il lutto di Aethe. Suo marito caduto in combattimento sarebbe stato abbastanza terribile di per sé, ma tutti quegli eventi insieme erano davvero troppi. Pareva che l’avessero distrutta, senza lasciare niente intatto. La menzione degli accadimenti sembrò scuotere anche Vars, quasi come avesse ricevuto un colpo.

“Non possiamo comprendere queste cose,” replicò lui. Con sorpresa di Aethe, le andò accanto e le posò una mano sulla spalla. “Sospetto che sia stato tutto tramato dal Regno del Sud. Sì, se c’è un colpevole, sono senz’altro loro.”

“Per me lo sono,” replicò Aethe, sentendo la rabbia arderle dentro; una fiamma che pareva capace di consumarla del tutto se glielo avesse concesso. “Dopo tutto ciò che hanno fatto, li farei scomparire dalla faccia della terra se potessi!”

“Sono così tanti i motivi per cui odiarli,” affermò Vars.

“L’uccisione di tuo fratello, il rapimento di tua sorella…”

“Sì,” rispose Vars. “Almeno ha sposato Finnal adesso.”

“È vero,” replicò Aethe, e sentì un poco di sollievo all’idea. Sapeva che Lenore era stata nervosa prima delle nozze, ma era certa che sua figlia sarebbe presto stata felice. “E Godwin…”

“Faremo tutto il possibile per riportarlo fra noi,” intervenne Vars. “Tutto il necessario.”

“Puoi… puoi trovare il Maestro Grey?” domandò lei. “Il dottore non può farci niente, quindi forse lui…”

“Lo farò convocare,” rispose Vars. “E, nel frattempo, terrò tutto sotto controllo qui.”

“Io ti aiuterò,” replicò Aethe. “Qualsiasi cosa ti serva. Terremo al sicuro il regno insieme. Per Godwin.”

Poté avvertire le lacrime precipitare giù e si sentì quasi cadere per la debolezza dovuta al lutto.

“Non sarà necessario,” disse Vars.

“Ma Vars…” esordì Aethe. Aveva bisogno di un compito che la facesse sentire utile, che la facesse sentire di nuovo parte delle cose.

“La moglie di mio padre è chiaramente sconvolta,” affermò Vars, girandosi verso un paio di guardie. Non la chiamò la regina, notò Aethe. “Ha bisogno di riposare. Portatela ai suoi alloggi e fate in modo che non venga disturbata.”

“Che cosa?” domandò Aethe. “Non ho bisogno di andare da nessuna parte.”

“Sì invece,” insistette Vars. “Sei stanca, sei sconvolta. Vai a riposare; è per il tuo bene.”

Il problema era che più protestava, più appariva come nient’altro che una moglie afflitta dal dolore. Le guardie la raggiunsero, afferrandola per le braccia. Si dimenò per liberarsi dalla presa, determinata a camminare da sola, ma non poté fermare le lacrime che iniziarono a scivolarle giù per il volto. Lanciò uno sguardo a Vars, in piedi su suo marito. Come poteva stare accadendo tutto ciò?

E, ancora piГ№ importante, che disastro significava per il regno?




CAPITOLO SECONDO


Quasi nello stesso momento in cui era arrivata quando era solo un bambino, Vars aveva desiderato poter mandare via Aethe. La moglie di suo padre, il suo rimpiazzo della madre di Vars, era stata il fulcro di così tante delusioni nella sua vita. Aveva sussurrato all’orecchio di suo padre per più tempo di quanto riuscisse a ricordare, dicendogli che Vars era debole, codardo, oppure indegno, e che dovevano governare le sue figlie.

L’aveva insinuato persino nella loro conversazione poco prima. Aveva fatto delle domande sul come Lenore si fosse ritrovata sola, e quello ovviamente suggeriva che sospettasse che Vars era venuto in qualche modo meno ai suoi doveri di scorta. Aveva suggerito che la sua discendenza poteva aiutare a gestire il lavoro del regno, e Vars sapeva bene come chiunque altro che quello era solo un modo velato per dire che avrebbero potuto sottrargli il potere. Adesso, mentre le guardie scortavano via Aethe verso i suoi alloggi, Vars arrischiò un sorrisetto di soddisfazione.

“Che cosa state facendo tutti qui?” domandò, mentre si guardava intorno nella stanza, verso i domestici e le guardie. Per quanto poteva vedere, erano lì fermi con le mani in mano. “Pensate che mio padre si tirerà su a sedere e vi chiederà un bicchiere di vino, o che vi guiderà tutti all’attacco?”

La maggior parte di loro distolse lo sguardo alle sue parole, come non volessero ascoltarle. Beh, Vars era il reggente adesso, e loro dovevano ascoltarlo.

“Restiamo con il re per lealtà, vostra altezza,” rispose uno dei domestici. “Qualora avesse bisogno del nostro aiuto.”

“Quale aiuto?” domandò Vars. “Ho visto il Dottor Jarran andarsene mentre venivo su. Il suo aiuto è stato sufficiente? No. Neanche il lodato stregone di mio padre ha concluso qualcosa, se non borbottare fra sé e sé nella torre. E adesso tutti voi volete offrirgli il vostro aiuto? Uscite!”

“Ma vostra altezza…”

Vars si rivolse aggressivo al domestico. “Hai parlato di lealtà prima. Io sono il reggente del re e parlo per conto del re. Se sei leale, obbedirai. Mio padre non ha bisogno di essere circondato da guardie o domestici. Andatevene o vi farò uscire da questa stanza con la forza.”

Vars carpì che nessuno di loro apprezzava l’idea di andarsene, ma la verità era che non gli importava. Aveva da tempo scoperto che le persone facevano solo ciò che veniva detto loro. Quelli che parlavano di onore, lealtà o patriottismo, erano semplicemente dei bugiardi, che fingevano di essere molto migliori di lui.

Quando iniziarono a uscire, una delle guardie si fermò. “Che cosa se il re si sveglia, vostra altezza? Non dovrebbe uno di noi vegliare su di lui e informarvi se accade?”

Vars non gridò in faccia all’uomo solo perché non voleva essere visto come un figlio che odiava suo padre, o come uno sciocco che non sapeva controllare il suo regno. Ciò che le persone vedevano era molto più importante della verità, dopotutto.

“Questo non è un compito per nessuno di voi,” replicò lui. “Si tratta di una mansione che potrebbe fare un bambino.” Gli venne un’idea a quel punto. “Chi è il più giovane dei paggi qui?”

“Sarebbe Merin, vostra altezza,” disse uno dei domestici. “Ha undici anni.”

“Undici anni sono abbastanza per restare qui a vedere se mio padre si sveglia, ma sono pochi perché sia utile per qualsiasi altra cosa,” affermò Vars. “Portatelo qui e poi occupatevi dei vostri veri doveri. Siamo nel mezzo di una guerra, dopotutto!”

Quelle parole bastarono a far mettere tutti in marcia, costringendoli a muoversi quando la sola aura di comando di Vars non ci sarebbe riuscita. Li odiava per quello, ma non erano i soli che odiava, certo. AndГІ al capezzale di suo padre, fissando in basso la mole comatosa di Re Godwin.

Appariva così fragile e grigio; i muscoli del suo corpo erano meno distesi, adesso che giaceva sulla schiena. Gli sembrava più vecchio che mai, e meno spaventoso.

“Questa è pressoché l’unica volta che ricordo, in cui non mi guardi dall’alto per dirmi quanto pensi che sia inutile,” disse Vars. Nonostante suo padre non potesse sentire le sue parole, era comunque bello pronunciarle. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirgliele se fosse stato sveglio; non avrebbe mai potuto tirarle fuori.

Vars camminò nella stanza, pensando a tutte le cose che avrebbe sempre voluto dire a suo padre, a tutte le cose che aveva in testa, intrappolate dietro alla paura che le aveva sempre tenute lì. Persino adesso, era dura pronunciarle, ma sapendo che suo padre non poteva davvero udirle, era di aiuto comunque esternarle.

“Dicono che potresti vivere o morire,” proseguì Vars. “Sto sperando che tu muoia; è ciò che meriti, dato il genere di padre che sei stato.” Fissò in basso suo padre con odio. Se avesse avuto il coraggio di farlo, avrebbe potuto afferrare un cuscino e trattenerlo giù, sopra al volto di suo padre.

“Sai com’è stato crescere con te come padre?” chiese. “Qualsiasi cosa facessi non andava bene. Rodry era sempre il tuo prediletto. Oh, lui ti piaceva, quando non aggrediva gli ambasciatori. Sono felice che tu abbia saputo che era morto prima che ti accoltellassero. E Nerra… cosa deve aver provato quando è dovuta andarsene?”

Non ci fu nessuna risposta, ovviamente, neanche un accenno di risposta dai tratti flosci di suo padre. In un certo senso, quello era persino piГ№ irritante.

“Quando mia madre è morta, sei stato così veloce a trovarti una nuova moglie,” affermò Vars. “I tuoi figli avevano bisogno di te, io avevo bisogno di te, ma tu hai sposato Aethe e hai messo al mondo le tue adorate figlie.”

Si ritrovГІ a pensare a tutte le volte in cui suo padre lo aveva trascurato per ricoprire di attenzioni Nerra, Lenore e persino Erin.

“Hai dato così tanta importanza a Lenore e al suo stupido matrimonio, non è vero? Hai riposto così tante speranze in lei. Sai perché adesso sei qui inerme? Sai perché è stata rapita in primo luogo?” Vars si fermò, chinandosi verso suo padre, abbastanza vicino da poter sussurrare. “L’hanno presa perché ho portato i miei uomini nella direzione sbagliata. Non volevo sprecare il mio tempo a farle da guardia del corpo, quando io ero quello più prossimo al trono. Non volevo restare lì seduto mentre la principessa perfetta si aggirava per il regno, ricevendo elogi e adulazioni. L’ho lasciata sola e gli uomini di Ravin l’hanno catturata, e Rodry è morto per salvarla.”

Vars si stirГІ, sentendo una profonda soddisfazione per essere finalmente riuscito a dire a suo padre tutto ciГІ che aveva dovuto trattenere tanto tempo.

“Mi hai sempre e solo umiliato,” continuò Vars. “Ma guardami adesso. Sono quello che ha sempre fatto cosa voleva, che ha passato il suo tempo nella Casa dei Sospiri e nelle locande, invece che nella tua amata Casa delle Armi. Eppure ci sono io al comando adesso, e ho intenzione di trarne il massimo vantaggio.”

Udì un colpo alla porta della stanza a quel punto. Un domestico entrò, scortando un ragazzino, biondo e dal viso paffuto. Indossava una camicia, una tunica e delle brache blu e dorate, com’erano i colori del regno. Sembrava nervoso di essere in presenza di Vars, mentre faceva un inchino indeciso. In quel momento, si accorse che una delle sue mani era piccola e storta, forse per un qualche incidente di molto tempo prima. Non gli importava.

“Sei Merin?” domandò Vars.

“Sì, vostra altezza,” rispose il ragazzino con una flebile voce spaventata.

“Sai come mai sei qui?” chiese Vars.

Il ragazzino scosse la testa, chiaramente adesso troppo spaventato per parlare.

“Devi vegliare su mio padre. Gli porterai i pasti, lo laverai e starai qui a vedere se si sveglia.” Non chiese al giovane se poteva o non poteva fare tutto; non era un suo problema. “Hai capito?”

“S-sì, vostra…”

“Bene,” lo interruppe Vars. Non aveva alcun interesse in ciò che un ragazzino di quel genere aveva da dire, ma solo nell’accertarsi che l’umiliazione di suo padre fosse completa. Che vivesse o morisse, non gli interessava. Se suo padre fosse sopravvissuto, Vars avrebbe avuto la piccola vendetta di avergli fatto tutto ciò; se invece fosse morto, avrebbe saputo di aver reso un poco peggiori gli ultimi giorni di quel vecchio stolto.

Rivolse l’attenzione all’altro domestico laggiù, un uomo che spostava nervosamente il peso da una gamba all’altra. “Che cosa ci fai qui?” domandò. “Pensavo di aver detto a tutti voi di dedicarvi ai vostri normali doveri.”

“Sì, vostra altezza,” replicò l’uomo. “Sono venuto perché… perché la vostra presenza è richiesta.”

“Richiesta?” chiese Vars e allungò una mano, afferrando l’uomo dalla camicia. Era abbastanza facile farlo, sapendo che il domestico non avrebbe mai osato reagire. Sarebbe stato tradimento, dopotutto. “Sono il reggente del re. Le persone non devono richiedermi niente.”

“Perdonatemi, vostra altezza,” ribatté l’uomo. “Questa… questa è la parola che hanno usato quando mi hanno mandato a prendervi.”

Prendervi era quasi brutta quanto richiesta. Vars prese in considerazione di sferrare un pugno a quell’uomo, ma si trattenne solo perché quello poteva fargli dimenticare il suo posto, e Vars non aveva alcuna voglia di essere colpito in reazione, qualsiasi potesse essere poi la sua vendetta.

“Chi ti ha mandato e perché?” domandò Vars. “Chi pensa di poter dare ordini nel mio castello?”

“I nobili, vostra altezza,” rispose il domestico. “Hanno richiesto…” Sembrava che stesse richiamando le parole che gli era stato detto di riportare. “…richiesto una conferenza per discutere l’invasione dal Regno del Sud e per decidere collettivamente come rispondere. I nobili sono qui e anche i cavalieri. La conferenza sta avendo luogo nella Grande Sala, proprio mentre parliamo.”

Vars spinse via quell’uomo, mentre la rabbia improvvisamente gli ardeva dentro. Come osavano? Come osavano fare una cosa del genere e cercare di sminuirlo quando lui era al comando del regno?

Poteva comprendere ciò che stavano facendo, anche senza che gli venisse detto. I suoi nobili lo stavano testando, lo stavano trattando come se non fosse un vero re, come se non fosse un governatore potente come suo padre. Stavano cercando di renderlo qualcuno che potevano comandare e controllare, un domestico più che un governatore. Pensavano di potergli dire dove doveva essere e quando, di decidere le cose fra loro, riducendolo a nient’altro che un corpo incoronato, seduto su un trono.

Beh, presto avrebbero compreso come stavano le cose; Vars avrebbe mostrato loro esattamente quanto si sbagliavano.




CAPITOLO TERZO


Per tanto tempo nella sua vita, Lenore era stata perfetta, mansueta e obbediente. Era stata il paradigma di una principessa, mentre attorno a lei, le sue sorelle avevano fatto piГ№ o meno ciГІ che desideravano. Nerra si era precipitata spesse volte nella foresta, mentre Erin aveva giocato a fare la guerriera; al contrario, Lenore aveva finito per fare tutto ciГІ che ci si aspetterebbe da una principessa.

Adesso, perГІ, stava facendo ciГІ che voleva.

“Siete sicura che dovremmo andare in città, mia signora?” chiese Orianne, mentre camminavano verso l’ingresso del castello. “Potrebbe non essere sicuro andare da sole.”

Un brivido le scivolГІ giГ№ lungo la colonna, alla memoria del suo rapimento, ma scosse la testa.

“Potrebbero esserci delle minacce fuori dalla città,” disse, “ma Royalsport è sicura. Inoltre, porteremo una guardia.” Ne scelse una. “Tu, tu ci scorterai fino in città, d’accordo?”

“Agli ordini, vostra altezza,” rispose l’uomo, incamminandosi insieme a loro.

“Ma perché in città?” domandò Orianne. “Non ci sareste mai andata prima.”

Quello era vero. Della sua famiglia, Lenore era stata quella che spendeva il minor tempo possibile fuori dal mondo ordinato della corte reale. Adesso, però, adesso poteva farcela. Non poteva sopportare invece di restare lì ad ascoltare altre persone congratularsi con lei per le nozze, mentre suo padre giaceva moribondo e sua madre era poco più che un’ombra addolorata. Non poteva sopportare di restare lì con Finnal, per quanto lui le intimasse di non allontanarsi.

C’era anche un’altra ragione: pensava di aver visto Devin dirigersi in città di tanto in tanto e sperava che potesse essere lì. Il pensiero di parlare con lui tornò a sollevarle il cuore, quando nient’altro sarebbe riuscito a farlo. Il solo pensiero di lui e della sua gentilezza la fece sorridere in un modo che pensava il suo neomarito non avrebbe mai potuto fare.

“Andremo laggiù e faremo sapere alle persone che, anche nel lutto, noi ci siamo per loro,” disse Lenore.

Partì con Orianne e la guardia sulla sua scia, superando le sentinelle al cancello e poi proseguendo giù, verso il corpo della città. Lenore scansionò le Case, alte e maestose su entrambi i lati, inalò l’aroma intenso dell’aria della città, la sensazione dei ciottoli sotto i suoi piedi. Avrebbe potuto viaggiare su una carrozza, ma l’avrebbe isolata dalla città attorno a lei. Inoltre, l’ultima volta che l’aveva fatto era stato per il suo raccolto nuziale, e Lenore stava cercando di sfuggire a quei ricordi, di non rievocarli.

Proseguì dentro un grazioso distretto di giardini vicino al castello, le case laggiù erano chiaramente quelle dei nobili, su strade pulite e non troppo affollate. Non era ancora abbastanza per Lenore; sapeva che Devin proveniva forse da una zona molto più povera di quella, e voleva vedere con i suoi occhi cosa significasse vivere in quel modo a Royalsport.

“Siete sicura di voler andare da questa parte, Lenore?” le domandò Orianne, mentre prendevano un ponte che conduceva verso una zona chiaramente un poco più povera. Le case erano ammucchiate più vicine fra loro e le persone erano impegnate a lavorare più che a oziare. Il fumo della Casa delle Armi si innalzava nel cielo.

“Qui è esattamente dove devo essere,” rispose Lenore. “Devo vedere la città vera, per intero.”

E se fosse capitato loro di trovare Devin lungo la strada, allora sarebbe stato persino meglio. Lenore ammise poi fra sé e sé che il cuore le saltava un battito ogni volta che lo vedeva. Certo, le era capitata la stessa cosa con Finnal, ma c’era una differenza. Devin non era lì per un qualche matrimonio che l’avrebbe portato all’acquisizione di determinati territori, non era circondato da quelle terribili voci. Tutto ciò che Lenore aveva sentito o visto di lui, le mostrava un animo coraggioso e gentile… il tipo di uomo che avrebbe dovuto sposare, se non fosse stato impossibile.

“Un poco più avanti, e saremo vicine alla Casa dei Sospiri,” affermò Orianne. Lenore poteva vederla in lontananza sopra ai tetti, con quei suoi colori sgargianti per dare nell’occhio; e le venne un’idea.

“Dovresti andarci,” disse alla sua domestica. “Parla con… la nostra amica laggiù. Assicurale la nostra gratitudine.”

“Siete sicura?” chiese Orianne. “È una questione delicata essere associate a quel luogo.”

“Sono sicura,” rispose Lenore. Aveva visto Finnal per ciò che era davvero; le servivano quanti più alleati possibile, anche se provenivano da luoghi il cui solo pensiero l’avrebbe una volta fatta arrossire.

“Come desiderate, mia signora,” replicò Orianne, facendo una riverenza e affrettandosi via.

Quello lasciГІ Lenore sola con la guardia, a vagare per i vicoli. Non aveva in mente una direzione: spostarsi alla cieca e avere la libertГ  di andare in qualsiasi direzione desiderasse era molto meglio.

Stava ancora girellando quando udì dei passi alle loro spalle. Lenore si accigliò e osservò la guardia.

“Li hai sentiti?” chiese.

“Sentito cosa, vostra altezza?”

Forse erano solo le sue paure, che stavano avendo la meglio su di lei; era fuori, in un luogo che avrebbe dovuto risultarle familiare, eppure era tutto tranne quello. Tuttavia, fu certa di sentire di nuovo dei passi e pensò di aver scorto una sagoma da qualche parte dietro alle sue spalle, lì e poi via di nuovo nei vicoli della città mentre altre persone li superavano. Lenore iniziò ad accelerare il passo.

Prese il successivo paio di svolte a caso, poi imprecГІ quando lei e la sua guardia si ritrovarono in un vicolo cieco, dentro un cortile tranquillo circondato da case. Si guardГІ alle spalle e adesso un uomo si stava avvicinando, con indumenti scuri e un coltello in vita; esibiva uno stemma che lo identificava come uno degli uomini del Duca Viris, uno degli uomini di Finnal.

Lenore avrebbe dovuto tirare un sospiro di sollievo alla vista degli uomini di suo marito laggiù, dato che almeno non era un qualche furfante pronto a rapinarla. Al contrario, avvertì la tensione gonfiarsi dentro di lei.

“Che cosa ci fai qui?” domandò. “Chi sei?”

“Mi chiamo Higgis, vostra altezza,” disse l’uomo, facendo un inchino. “Sono un domestico, mandato con delle istruzioni da vostro marito.”

“Quali istruzioni?” chiese Lenore.

L’uomo si sollevò dall’inchino con il coltello già in mano, avvicinandosi alla guardia che Lenore aveva portato con sé e affondando un colpo, poi un altro. Lenore trasalì, appoggiandosi contro il più vicino degli edifici, ma con l’uomo fra lei e l’uscita del cortile, non aveva scampo.

“Sono stato mandato per salvarvi dai mascalzoni che vi hanno aggredita,” rispose l’uomo. Estrasse il coltello e lo mise via. “Hanno ucciso la vostra guardia e vi hanno colpita prima di derubarvi. Tutto perché non avete dato retta alle istruzioni di vostro marito di restare dove vi ha sistemata. Come risultato, sarà costretto a portarvi via dalla città per la convalescenza.”

Il domestico avanzГІ, scrocchiandosi le nocche.

“Vuoi davvero colpire una principessa?” domandò Lenore. “Ti farò decapitare.”

“No, vostra altezza,” replicò l’uomo. “Non lo farete; al contrario, vostro marito mi ricompenserà, come ha già fatto. Adesso, direi che sarebbe più semplice se restaste ferma, ma questa sarebbe una bugia.”

Caricò un pugno e, per un attimo, Lenore fu certa che non ci sarebbe stato altro che dolore nel suo futuro. Poi una seconda sagoma più minuta si precipitò oltre l’uomo nel cortile, mettendosi fra Lenore e il suo aspirante aggressore.

“Erin?” domandò Lenore.

Sua sorella era lì in piedi, con un bastone fra le mani; lo faceva vorticare con nonchalance mentre aspettava. L’inviato di Finnal non esitò, ma le si precipitò contro. Erin aspettò fino all’ultimo momento e poi si spostò di lato, affondando il bastone nel diaframma dell’uomo e dopo usandolo per colpirlo alle ginocchia e alla testa. L’arma sembrava essere ovunque allo stesso tempo in quel momento, muovendosi in una mossa fulminea resa chiara solo dallo scricchiolio del legno contro la carne.

L’uomo arretrò, estraendo di nuovo il suo coltello, ed Erin tornò ad attaccare con il suo bastone, colpendolo al polso; Lenore udì lo scricchiolio delle ossa quando l’arma le raggiunse. L’uomo gridò, incespicò indietro e poi si voltò e scappò via. Per un momento, Lenore pensò che sua sorella l’avrebbe rincorso, ma si fermò, voltandosi a guardarla.

“Va tutto bene?” chiese. “Ti ha fatto del male?”

Lenore scosse la testa. “Non a me, ma la mia guardia…” Guardò in basso gli occhi sbarrati dell’uomo, fissandoli scioccata. Erano fin troppo simili a quelli che aveva visto in passato. “Che cosa ci fai qui, Erin?”

“Ho pensato di seguirti fino in città. Sono in pausa dagli allenamenti con Odd, ma poi ho visto che quell’uomo ti seguiva e volevo capire cosa stava succedendo.” Fissò Lenore con uno sguardo indagatore. “Che cosa sta succedendo, sorella?”

“Si tratta…” Lenore costrinse la sua voce a restare pacata. Non si sarebbe comportata da debole, non avrebbe tremato e fatto l’isterica, non sarebbe stata niente di ciò che Finnal probabilmente pensava fosse. “Si tratta del mio neomarito.”

“Finnal?” domandò Erin.

“È davvero cattivo quanto dicono, Erin,” rispose Lenore. “Si preoccupa solo di cosa può ottenere dal nostro matrimonio; non gli importa niente di me. E ha… ha mandato quell’uomo a picchiarmi perché ho lasciato il castello senza chiedergli il permesso.”

Il volto di Erin era duro. “Lo ucciderò. Lo sgozzerò e metterò la sua testa in cima a un palo.”

“No,” disse Lenore. “Non puoi farlo. Uccidere il figlio del Duca Viris? Ne deriverebbe una guerra civile.”

“Credi che mi interessi?” domandò Erin.

“Penso che debba interessarci,” rispose Lenore. “No, noi dobbiamo essere più furbe di così.”

“Noi?” chiese Erin.

“La mia domestica, Orianne, sa com’è Finnal. Ci aiuterà e così faranno gli altri, come Devin.”

Lenore non sapeva perché le venne in mente proprio il suo nome, ma così accadde.

“Tutto qui?” domandò Erin e poi scosse la testa. “Beh, è un inizio. Potremmo andare da Vars.”

“Non gliene importerebbe niente,” sottolineò Lenore. “Avrei già trovato un modo per divorziare da Finnal, se pensassi che Vars mi ascolterebbe.”

“Allora troveremo qualcosa che persino lui ascolterà,” insistette Erin.

Lenore scosse la testa. “Non sarà facile.”

Erin sospirò. “Lo so, ma ti giuro, Lenore, che Finnal non ti farà più male di quanto non abbia già fatto. Nessuno lo farà. D’ora in poi, io verrò ovunque andrai e se qualcuno ti attaccherà… io sarò al tuo fianco e caverò il cuore dal petto a chiunque provi a farlo.”




CAPITOLO QUARTO


Nerra si inginocchiò accanto alle acque della fontana del tempio, fra le ossa di coloro che ci avevano provato in passato ed erano morti. Sopra di lei, le pendenze del vulcano sembravano guardare in basso rabbiose, vietandole di azzardare ciò che stava per fare. Guardandosi le braccia, poteva vedere le chiazze della malattia a squame lì sopra; le sue linee erano scure sulla sua pelle.

Non sarebbe morta come Lina. Anche se quelle acque l’avessero uccisa, sarebbe stato meglio che aspettare che la malattia la reclamasse laggiù sull’isola, dove il suo drago l’aveva portata. Assistere alla morte della sua amica, l’aveva spinta a percorrere tutta quella strada fino al tempio, alla fontana che aveva promesso al custode dell’isola, Kleos, che non avrebbe cercato.

Ne bevve le acque a quel punto; le deglutì in un singolo sorso lungo, che le prosciugò le mani che aveva messo a coppa. Non pareva avere senso sorseggiarla, quando un minimo tocco dell’acqua avrebbe dovuto portare alla morte.

Non osГІ sperare in una qualsiasi altra conseguenza.

“Non la chiamerebbero una fontana della guarigione se fosse solo una menzogna,” gridò, come se farlo potesse far avverare la sua affermazione. “Non avrebbero costruito tutto questo.”

Perché costruire un tempio all’aria aperta, se l’unico obiettivo fosse uccidere chi arriva? Perché preoccuparsi di metterci anche una fontana, o la strana pressione che l’aveva trattenuta dall’arrivo mentre percorreva le pendenze del vulcano? Kleos, il custode dei malati, le aveva detto che bere significava morire, che era tutto solo finalizzato a fare in modo che chi aveva la malattia del drago si uccidesse, ma Nerra doveva sperare che si sbagliasse, mentisse o entrambi.

Avrebbe funzionato. Doveva farlo.

Si alzò e rivolse lo sguardo all’isola attorno a lei, così vicina al continente di Sarras pur non essendone parte. Guardò quel feroce paesaggio vulcanico che aveva attraversato e poi la giungla al di là. Da lì, non poteva vedere il piccolo villaggio che cercava di contenere morti e morenti, coloro che lenti si trasformavano da malati a cose mostruose che conoscevano solo la fame e la morte. Non era meglio tentare quest’impresa che restare lì seduta, ad aspettare l’amara grazia del coltello di Kleos quando si sarebbe torta abbastanza?

Nerra restò lì in piedi, in attesa, cercando di immaginare l’acqua che lavorava al suo interno. Avrebbe già dovuto avvertire qualcosa? Conosceva le erbe abbastanza bene da sapere che di rado gli effetti erano immediati, ma in qualche modo si era aspettata che la guarigione delle acque fosse…

Gridò quando il dolore la colpì, così pungente e consumante da metterla di nuovo in ginocchio. Si aggrappò al suo stomaco, mentre il corpo le si contorceva agonizzante e le sue grida uscivano così rapide da non lasciarle neanche il tempo di respirare.

Kleos non aveva mentito; la fontana era un veleno per chi ne avesse bevuto le acque. Nerra poteva sentire quel liquido al suo interno adesso, le si dimenava dentro come una specie di serpente spinato, bruciando tutto come avesse ingoiato la lava del vulcano invece che mera acqua. Cercò di vomitarla, ma non ci riuscì; non aveva neanche più abbastanza controllo su se stessa per farlo.

“Ti prego…” gridò Nerra.

Le sembrГІ che il suo corpo si stesse facendo a pezzi da solo, muscolo dopo muscolo, osso dopo osso. Sembrava che ogni suo frammento fosse in guerra con il resto, scatenando un conflitto dove lei era il campo di battaglia, i guerrieri e la pianura sterile che avrebbe abbattuto, mentre le strappava via la vita.

“No…” urlò Nerra. Si ritrovò a pensare in quel momento a tutto ciò che era stata costretta a lasciarsi alle spalle nel Regno del Nord, a tutto ciò che non avrebbe mai più rivisto, mentre l’agonia di quelle acque mortali divampava al suo interno. Pensò ai suoi fratelli e alle sue sorelle, all’elegante Lenore e alla tutto tranne che elegante Erin, a Rodry che era sempre così veloce ad attaccare per difendere il prossimo e a Greave che era invece tranquillo e coscienzioso. Si ritrovò a pensare addirittura a Vars.

Al di sopra di tutto, però, si ritrovò a pensare al drago che aveva trovato. Nell’occhio della sua mente, era cresciuto, in un modo eccessivamente rapido, le sue squame brillavano con la lucentezza di un arcobaleno, le sue ali erano aperte mentre si librava in aria. L’immagine era così nitida che Nerra alzò lo sguardo, quasi aspettandosi di vederlo in cielo, come era successo quando i banditi l’avevano sorpresa nella foresta. L’aveva portata lì, quindi perché adesso non c’era?

Era sola però; più sola che mai. Persino nella foresta, c’erano gli animali e un senso di pace. Adesso… adesso c’era solo il dolore a riempirla, a contorcerla, a spezzarla. Nerra sentì il suo braccio spezzarsi e gridò, sentì i muscoli delle sue dita contrarsi così forte da frantumarle le ossa all’interno.

A un certo punto del processo, doveva essere svenuta per il dolore, perchГ© rivide il drago, vide diversi draghi sollevarsi ancora su Sarras, in volo e in stormo a riempire il cielo. Volteggiarono su di lei e poi vi si ritrovГІ in mezzo, osservava la moltitudine dei loro colori, nero e rosso, dorato e smeraldo, e altri ancora.

Un secondo dopo era a terra, si spostava tra i resti degli edifici adesso molto piГ№ antichi di qualsiasi cosa giacesse nel Regno del Nord; erano cose che sembravano cresciute da sole, invece che essere state costruite. PensГІ di aver scorto altre sagome muoversi tra quegli edifici, comparire agli estremi del suo campo visivo, ma ogni volta che cercava di girare la testa per acquisire una vista migliore, pareva che si sparpagliassero e scomparissero in lontananza, impossibili da raggiungere.

Nerra cercГІ di rincorrere quelle figure, ma fuggirono in tunnel le cui pareti si spostavano e allungavano appena lei vi si gettava dentro. Fu una pietra vivente a raggiungerla e afferrarla, per deformarla come argilla fino a farle perdere il respiro e impedirle di urlare persino in sogno.

Poi fece ciГІ che non si sarebbe mai aspettata di fare: si svegliГІ.

Era impossibile dire quanto tempo fosse passato. Il sole era ancora alto in cielo, ma poteva essere trascorsa una dozzina di giorni per quanto ne sapeva Nerra. Le doleva il corpo alla memoria dell’agonia alla quale quell’acqua l’aveva assoggettata, e si sentì così debole che…

No, aspetta; non si sentiva debole. Si sentiva assetata, affamata e stanca, ma non debole. Al contrario, si sentiva forte. Si alzò e, per la prima volta da ciò che sembrava un’eternità, non aveva alcun segno delle vertigini che l’avevano accompagnata per tutta la vita. Tuttavia, Nerra cadde quasi. I muscoli delle sue gambe sembravano… sbagliati, in qualche modo. Diversi.

Persino il mondo attorno a lei sembrava diverso, cambiato in un certo senso. I suoi colori erano lievemente cambiati, come se potesse vedere più di essi che mai, mentre sembrava che la fragranza della giungla vicina fosse così forte che poteva quasi assaggiarla.

Adesso, però, non importava. Ciò che importava era che fosse sopravvissuta. Quello significava… quello significava che era guarita? La fontana l’aveva curata?

Nerra a malapena osava sperare che potesse essere vero, che potesse essere sopravvissuta quando tanti altri erano morti, ma la speranza iniziò sì a sollevarsi dentro di lei. Era senz’altro viva e tutte quelle terribili sensazioni delle ossa che le si spezzavano erano adesso sparite. Se era intera, era troppo sperare che potesse anche essere guarita?

Poi Nerra vide il suo braccio. Era ancora un braccio umanoide, non deformato in quell’orrende cose malfatte in cui si tramutavano coloro che avevano la malattia del drago e restavano al villaggio, ma era adesso del tutto ricoperto da iridescenti squame di un blu profondo. I muscoli si muovevano sotto alla sua pelle, molto più spessi di com’erano stati prima e, persino mentre si osservava, Nerra vide gli artigli estendersi dalle sue dita, con un aspetto affilato e malvagio.

Gridò sotto shock alla vista del suo braccio ridotto in quel modo; iniziò ad artigliarsi le squame, e aveva gli artigli per farlo, il che la faceva solo sentire peggio. Che cosa le stava accadendo, che cosa era diventata? Si sentiva come non potesse respirare e quello non aveva niente a che vedere con la malattia, ma solo con l’assoluta stranezza di ciò che stava accadendo. Fece un passo indietro, ma quello la portò solo verso la piscina d’acqua. Non poteva fermarsi; doveva guardare.

L’essere che rispose a quel suo sguardo fisso era del tutto diverso da ciò che era stata, ma non era quella cosa rotta e deformata che aveva tanto temuto di diventare. Nerra poté solo guardarlo per lunghi secondi, incapace di dargli un senso; orrore, shock e un totale fascino si battevano per la supremazia dentro di lei.

La sua pelle era squamosa, i suoi occhi gialli come quelli di un serpente, i suoi tratti dispiegati in qualcosa di più draconico, eppure c’era un’innegabile simmetria e bellezza in quei lineamenti. Nerra avrebbe del tutto rifiutato quell’immagine, eppure, guardandola, c’era qualcosa che le ricordava lei stessa. Persino la memoria dei suoi capelli era lì, in ciocche frondose che somigliavano alla cresta di una lucertola. Il suo corpo era altrettanto squamoso e più muscoloso adesso, capace di muoversi sinuoso grazie al riassetto delle sue articolazioni, eppure non aveva l’aspetto di un mostro.

“Certo che sono un mostro!” disse forte e la sua voce era l’unica parte di lei che non sembrava cambiata. Quello rese tutto peggiore in qualche modo, invece che migliore. Come poteva quella parte di lei essere rimasta invariata, quando tutto il resto si era trasformato? Un pensiero la raggiunse: nessuno della sua famiglia l’avrebbe adesso riconosciuta, aveva perso tutto. La rabbia le si scatenò dentro, repentina, improvvisa e totale; afferrò un pezzo di muro del tempio e lo fece a pezzi a mani nude. Fu solo allora che comprese quanto fosse forte nelle sue nuove sembianze.

La rabbia era ancora lì, e Nerra poteva sentirla battersi per emergere in superficie, per avere la meglio, come chi si trasformava al villaggio lasciava spazio a una creatura irrazionale. Nerra si ribellò a essa, allo shock, al dolore profondo di quella trasformazione, relegando tutto nelle periferie del suo essere e rifiutandosi di diventare qualcosa di simile. Si sporse dal lato della pozza, fissando giù nell’acqua, costringendosi a osservare quella versione mutata della sua persona, finché pensò che poteva sopportarlo.

La fontana non l’aveva uccisa, non l’aveva curata, l’aveva cambiata. Era stata come un catalizzatore per la trasformazione connessa alla malattia, ma l’aveva portata direttamente oltre alle creature malfatte che di solito creava, per renderla qualcosa di lucente e flessibile, dall’aspetto umano e di lucertola, tutto in una volta.

Nerra non sapeva cosa fare con quel pensiero, non sapeva come superare lo shock di chi era, di com’era diventata. Non lo comprendeva, non sapeva quale avrebbe dovuto essere la sua mossa successiva. Aveva bisogno di capire cosa stava succedendo e cosa le era successo, ma c’era un solo posto dove avrebbe potuto trovare le risposte ed era lo stesso dove avrebbero potuto ucciderla per com’era ora.

Procedendo a passo lungo sulla superficie del vulcano, Nerra si mise in cammino di nuovo verso il villaggio.




CAPITOLO QUINTO


Pedinare Finnal e la sua gente era abbastanza semplice per Erin; dopotutto, in quanto principessa, poteva andare ovunque nel castello e, in quanto cavaliere, nessuno la guardava due volte se lo faceva in compagnia della sua lancia corta, con la punta ancora coperta dalla custodia a farla sembrare un bastone.

Cosa avrebbero visto davvero se avessero guardato nella sua direzione? Una ragazzina più bassa delle sue sorelle, ricoperta da un’armatura di catene e lastre, con i capelli scuri tagliati corti per evitare che le offuschino la vista nella lotta e i tratti intrisi di determinazione. Non avrebbero potuto carpire le sue intenzioni, non avrebbero potuto immaginare la parte in cui, prima o poi, avrebbe trafitto il cuore di Finnal con la sua lancia. Le persone non volevano guardare le principesse e pensare che potessero fare una cosa del genere.

Le persone erano stupide.

Per ora, Erin lo stava solo pedinando; si muoveva fra la folla del castello, passando dalle coppie di cavalieri alle schiere di domestici, mentre Finnal attraversava il cortile per accedere alla grande sala. C’erano delle tende in cortile al momento, all’ombra delle imponenti mura, con i soldati accampati lì come in attesa di nuovi ordini. Alcuni erano seduti attorno a fuochi cottura all’aria aperta e Finnal si fermò con essi, per fare battute e ridere. A qualcuno, allungò delle monete, forse per comprare la loro lealtà.

Erin non poteva comprendere cosa vi avesse mai visto sua sorella. Oh, era stato abbastanza carino prima delle nozze, sempre elegante e aggraziato, con gli zigomi alti e un sorriso smagliante. Portava indumenti scuri dai bordi dorati, i migliori per attirare le attenzioni altrui sul suo splendore; e senz’altro, ogni volta che passava, tutti attorno a lui gli rispondevano come se il sole in persona fosse appena uscito dalle nuvole. Tuttavia, Lenore si meritava di più; si meritava qualcuno che la amasse davvero.

Di certo non meritava qualcuno che cercasse di tenerla ostaggio nelle nozze, mettendole delinquenti alle calcagna ogni volta in cui si fosse azzardata a uscire dalle mura del castello. Finnal avrebbe pagato per quel gesto, e l’avrebbe fatto amaramente.

Erin sorrise quando lo vide deviare verso le stalle, prima di proseguire nella grande sala. Con così tante persone al castello, era difficile in quel momento trovare un luogo adatto a un’imboscata, ma Erin era certa che lì vi fosse. Conosceva il posto con esattezza.

Abbandonando i suoi tentativi di essere un’ombra silenziosa alle sue spalle, Erin attraversò a corsa il cortile, fino all’angolo appena precedente Finnal. Passò dal retro e, correndo su una rampa di scalini in pietra, si ritrovò al livello più basso delle mura; scivolò oltre a una guardia che guardava le isole della città, muovendosi con passo felpato prima di lanciarsi giù, sul tetto delle stalle.

Si era nascosta lì tantissime volte quando era piccola, in parte perché era il posto perfetto dove accucciarsi per evitare le lezioni di galateo che sua madre voleva seguisse e in parte perché era il punto da cui era possibile vegliare sulle stalle. Erin l’aveva usato per spiare le battute di caccia o i cavalieri che si preparavano per uscire nel regno, provando sempre gelosia che loro potessero fare tutto ciò, mentre lei no. Si fermò lì e osservò, afferrando l’impugnatura della sua lancia.

Voleva farlo davvero? Il nervosismo la raggiunse mentre aspettava perché, nonostante avesse ucciso prima, non l’aveva mai fatto a sangue freddo. Voleva davvero abbattere il marito di sua sorella e lasciarlo morto nelle stalle?

La risposta a ciГІ era semplice: se non lei, chi doveva farlo? Oh, Lenore aveva parlato delle sue domestiche in azione, per cercare informazioni che avrebbero convinto le persone a liberarsi di Finnal in modo piГ№ pulito, ma quali erano le chance di portare a termine quel piano? Anche se avessero ottenuto le informazioni che avrebbero potuto persuadere la maggior parte della gente, Vars avrebbe acconsentito ad annullare il matrimonio? Era stato lui, in primo luogo, a pressare affinchГ© le nozze venissero celebrate il prima possibile.

Forse appena loro padre si fosse svegliato, ma questo era più veloce, più pulito e… beh, Finnal se lo meritava. Nessuno poteva minacciare sua sorella.

Aspettò, finché non sentì delle voci lì sotto.

“… il baio più grande,” disse Finnal, da qualche parte in basso.

“Ma signore, quel cavallo appartiene al Principe Rodry.”

“Ed io desidero onorare la sua memoria mettendolo a servizio di sua sorella,” rispose Finnal e comparve in basso; la sua testa era visibile, con la sua cascata di riccioli. “Ricordati che io sono suo marito e che le terre che adesso possiedo includono… Uhm, da dove hai detto che proviene la tua famiglia?”

La minaccia era lì, appena sotto la superficie, e tutto ciò non fece altro che accrescere la rabbia di Erin. Quell’uomo si era rivelato crudele da quando aveva ottenuto potere; era una serpe dalla pelle graziosa. Oltre a ciò, stava cercando di derubare il suo defunto fratello adesso, mentre minacciava sua sorella. Erin non poteva permettere che tutto ciò accadesse.

“Magari potrei parlare con il responsabile delle stalle,” disse lo stalliere con cui stava parlando.

“Mi sembra un’idea eccellente,” replicò Finnal. “Io aspetterò qui.”

Lo stalliere non intendeva che l’avrebbe fatto subito chiaramente, ma con Finnal in attesa, non aveva scelta. C’era solo un vantaggio in tutto ciò: significava che Finnal sarebbe rimasto solo nelle stalle, eccetto che per i cavalli, dritto nella visuale di Erin. Sfilò dunque la custodia alla sua lancia, mentre il cuore le pompava feroce in petto. Poteva farlo, doveva farlo, per sua sorella.

L’angolazione non era quella perfetta, quindi si spostò più avanti sul tetto, o cercò di farlo. Sentì il piede cederle, mentre sprofondava nella paglia, e dovette sforzarsi di non sussultare quando fu sul punto di cadere. Solo immergendo la sua lancia nella paglia, riuscì a mantenere l’equilibrio ed evitarsi di ruzzolare.

Si accucciò lì diversi secondi, per non essere vista. Poteva sentire il rumore dei passi sulle mura, ma sapeva che le guardie non avrebbero potuto vederla da lì. Era più preoccupata della possibilità di essere sorpresa da Finnal. Tuttavia, quando alla fine si azzardò a guardare di nuovo attraverso la fessura del tetto e nelle stalle, lui era ancora lì, stava osservando i cavalli come cercasse di decidere quale pretendere dopo.

Erin impugnò la lancia e aggiustò la presa, preparandosi a colpire. La lancia era corta ma, da lì, non aveva dubbi che sarebbe riuscita a infilzare il cuore di Finnal. Fece un respiro, approntando la mano, avvertendo la tensione lì e…

E una mano si chiuse sull’asta della lancia, impedendole di scagliarla verso la sua preda.

“Ucciderlo in pieno giorno?” sussurrò Odd, scuotendo la testa in disapprovazione.

Erin si girò verso di lui. L’ex cavaliere portava ancora gli abiti da monaco, che si era guadagnato sull’Isola di Leveros, e aveva la spada legata sulla schiena. Non si aspettava che si muovesse così piano.

“Deve morire,” sibilò Erin in risposta, ma quando tornò a guardare giù attraverso la fessura, Finnal stava uscendo dal suo campo visivo.

“E una volta ucciso che cosa avrete ottenuto?” chiese Odd. Non le aveva ancora rilasciato l’arma. “Per prima cosa, la vostra lancia sporgerebbe dal suo petto. Principessa o no, non potete uccidere il figlio di un duca e restare impunita. Vi farebbero impiccare!”

“Neanche Vars mi farebbe impiccare,” disse Erin. “E per proteggere Lenore…”

“Per proteggere, dovete restare viva!” Ringhiò Odd in risposta e spinse Erin via da lui. “Non potete finire a marcire in una segreta e non potete iniziare una guerra civile che ci farà morire tutti.”

“Uccidere quello… quello metterebbe fine alle cose, non le inizierebbe,” insistette Erin.

“Non quando metà dei nobili sono dalla parte sua e di suo padre,” ribatté Odd. “Dimostrerebbe al regno che la famiglia reale sta cercando di governare, senza accettare consigli né vincoli. Fate la cosa sensata, Erin.”

“Perché voi potete insegnarmi molto al riguardo?” Scattò Erin in risposta e spostò lo sguardo da Odd a dove giaceva il regno. “Credete che non sappia chi siete e chi eravate? Non vi chiamavano Sir Oderick il Giudizioso!”

“No, mi chiamavano il Folle,” replicò lui e, in un attimo, liberò la sua spada dalla custodia. Sfrecciò, ed Erin a malapena riuscì a pararla con la lancia. “Dicevano che ero un matto. Dicevano che ero un mostro.”

Colpì di nuovo, più e più volte, costringendo Erin ad arretrare, un passo, poi un altro.

“Credete che la vostra rabbia sia l’unica cosa che conta? Beh, io ne so molto di rabbia,” disse e colpì ancora; adesso Erin era stufa di restituire i colpi. Sistemò i piedi e…

… eccetto che non c’era nessun �e’, perché scoprì che il terreno era finito. Ruzzolò giù, la lancia le sfuggì di mano e, per un momento, era certa che si sarebbe spezzata le ossa sui ciottoli sottostanti. Tuttavia, pareva che Odd non l’avesse solo spinta al bordo del tetto, ma l’aveva anche indirizzata verso un punto sotto il quale giaceva un serbatoio per la raccolta dell’acqua piovana. Erin ci sprofondò con un tonfo, immergendosi rapida e tornando a galla borbottando.

Odd era giГ  da lei e le stava porgendo la sua lancia.

“Vi sentite meglio?” chiese.

“Mi sento come se dovessi colpirvi come foste lui,” replicò Erin e sentì il peso del suo sguardo su di lei. “Ma… non ancora. Avete ragione. Non posso ucciderlo e basta, giusto?”

Odd scosse la testa e le lanciò la sua arma. “Dobbiamo escogitare un altro modo. Per adesso, vostra sorella è in un matrimonio pericoloso e ha meno amici di quanti pensi.”

“Ha me,” affermò Erin, tirandosi fuori dall’acqua.

“Noi,” la corresse Odd.

Erin non mise in discussione quella rivelazione; era semplicemente grata che un guerriero così abile fosse disposto ad aiutarla. Finnal aveva delle risorse dalla sua parte, un ruolo di rilievo e persino l’amicizia di Vars. Schierato contro di lui, tutto ciò che Erin aveva per tenere sua sorella al sicuro era un ex-cavaliere probabilmente pazzo. Tuttavia, avrebbe tenuto Lenore al sicuro, anche se le fosse costato la vita.




CAPITOLO SESTO


Devin era in piedi negli alloggi del Maestro Grey, fra le cianfrusaglie strane che solo un mago poteva raccogliere, fissando una mappa del regno mentre lo stregone indicava dei punti su essa.

“La mia ricerca ha identificato dei luoghi dove si trovano frammenti della Spada Incompiuta,” disse. “Una tomba di famiglia alle colline pedemontane del lontano nord, un santuario fuori dal villaggio al cuore del regno.” Indicò un’altra mezza dozzina di punti, uno dopo l’altro.

Devin cercò di metabolizzare il tutto. “Perché qualcuno dovrebbe sparpagliare i frammenti di una spada del genere?”

“Perché è un’arma di potere,” rispose lo stregone. “Una troppo pericolosa per essere lasciata nelle mani degli uomini in tempi di pace.”

“Ci sono stati tempi di pace recentemente?” chiese Sir Twell il Pianificatore dall’altro lato della stanza. Sir Halfin il Lesto era in piedi accanto a lui; i due cavalieri dello Sperone indossavano un’armatura di lastre e catene, coperta dai mantelli, e i loro scudi erano lisci invece che dotati dello stemma identificativo della loro provenienza. Sir Twell aveva una ferita bendata che aveva accusato in battaglia, ma sembrava muoversi ancora bene. Sir Halfin continuava a spostare il suo peso, come bramoso di agire.

“Non sono le guerre fra uomini a preoccuparmi,” replicò il Maestro Grey.

“Allora cos’è che vi preoccupa?” domandò Devin. Non che si aspettasse una risposta. Non ne avrebbe mai ottenuta una.

“È fondamentale che raccogliate i frammenti della spada,” rispose il Maestro Grey. “Molti giacciono in bella vista, altri in luoghi più… più pericolosi. Con la lama che hai fatto per le nozze, hai dimostrato di poter forgiare il metallo stellare.”

“Meraviglioso,” intervenne Sir Halfin. “Viaggiare insieme per raccogliere quella roba. Sarà proprio come il nostro viaggio a Clearwater Deep.”

“Eccetto che questa volta, Rodry non sarà con noi,” aggiunse Sir Twell, con un tono cupo. “Avete detto che tutto questo è necessario, stregone?”

Il Maestro Grey annuì. “Se hai visto le cose che ho visto io, non dovresti chiedermelo.”

“Ma io devo chiedervelo,” ribatté Sir Twell. “Perché voi volete allontanare due cavalieri dal castello nel bel mezzo di una guerra.”

“Ne manderei di più,” replicò il Maestro Grey. “Ma se si sparge la voce, verrebbero in troppi. Voi due e Devin è più discreto.”

Il cavaliere sospirò a quell’affermazione, perché non era chiaramente ciò che voleva. “E voi vi siete preparato a dovere per questo?”

Il Maestro Grey gli rivolse uno sguardo strano. “Da più tempo di quanto potresti anche solo concepire, Pianificatore. Ma se intendi nel senso più immediato… cavalli, scorte, armi e oro vi attendono di sotto. Tutto ciò che persino tu potresti richiedere.”

Quello sembrГІ rendere il cavaliere, se non felice, quantomeno soddisfatto.

Sir Halfin si voltò verso Devin. “E tu cosa ne pensi? Credi che sia una buona idea? Ti fidi dello stregone del re?”

Devin non era sicuro di come rispondere a nessuna delle tre domande. Il Maestro Grey non era un uomo che ispirava fiducia, che dava delle risposte o che quantomeno agiva in un qualsiasi modo che non fosse correlato alle sue misteriose profezie. Di certo non pensava che quel compito fosse sicuro o semplice. Tuttavia, aveva visto lui stesso delle cose che non sarebbe dovuto riuscire a vedere, aveva letto parte dei pensieri dello stregone su un bambino nato sotto alla luna del drago che era vitale. Se era lui, non aveva il dovere di agire?

“Credo che dobbiamo farlo,” rispose Devin e allungò le mani verso gli altri. “Se questo può aiutare il regno, allora dobbiamo almeno provarci. Mi aiuterete?”

Sir Halfin fu il primo ad allungarsi, mettendo la sua mano sopra a quella di Devin. “Lo farò. Se non lo facessi, che Cavaliere dello Sperone sarei?”

Sir Twell impiegò un momento di più, ma poi unì la sua mano alle loro. “Molto bene,” disse. “Lo giuro; ma ho un’altra domanda: come faremo a trovare questi frammenti?”

“Devin avvertirà il metallo stellare quando è vicino,” rispose il Maestro Grey. “Ma oltre a questo…” Estrasse ciò che sembrava una mappa e la dispiegò. Mostrava il regno, mostrava i frammenti che aveva sottolineato e c’era anche qualcos’altro… almeno uno di essi si stava muovendo.

“Magia,” disse Devin meravigliato. Nonostante avesse visto tutto ciò che lo stregone riusciva a fare, quella cosa riusciva sempre a stupirlo.

“La mappa localizzerà i frammenti,” disse il mago. “Con questa, dovreste riuscire ad avvicinarvi. Immagino che quello in movimento sia attualmente nelle mani di un mercante, che lo reputa un ciondolo da vendere.”

“Allora lo porterò indietro,” promise Devin. “Insieme a tutti gli altri.”

“Andate subito,” disse il Maestro Grey, posando una mano sulla spalla di Devin. “Potrebbe non restare molto tempo, per nessuno di noi.”

“D’accordo,” rispose Devin, ma poi pensò per un momento. “C’è solo una cosa che devo fare prima.”


***

Quando Devin raggiunse gli alloggi di Lenore, aveva il cuore in gola. Non era sicuro che gli fosse neanche concesso di vederla, di restare solo con lei per parlarle, o… o cosa? Esprimere tutto ciò che provava? Dirle tutto nonostante adesso fosse una donna sposata?

Devin non lo sapeva. Non sapeva cosa dire o quanto lontano potesse spingersi. Sapeva solo che doveva fare qualcosa. Quindi era andato fino alle sue stanze e giГ  quel gesto di per sГ© era strano. Non avrebbe dovuto essere negli alloggi di Finnal adesso che era sua moglie?

Restò ancora più sorpreso quando fu un’altra principessa ad aprire la porta, con una lancia in mano come potesse trafiggerlo.

“Chi sei?” domandò la Principessa Erin. “Cosa vuoi?”

“Va tutto bene, Erin,” gridò la voce di Lenore da dietro di lei. “È Devin, un amico di Rodry. Lascialo entrare.”

La Principessa Erin tornò a squadrarlo, come si aspettasse che Devin potesse all’improvviso estrarre un coltello e attaccare, ma poi arretrò.

“Immagino che sei un amico di Rodry, puoi passare.”

Devin non aveva mai visto l’interno delle stanze oltre la porta e, per un momento, quell’ambiente lo fece ritrarre. Seta blu si gonfiava in prossimità delle finestre di una zona giorno, mentre su uno dei divani, Lenore sedeva leggendo e una figura vestita da monaco sostava in piedi un poco più in là, apparentemente focalizzata su niente. Agli occhi di Devin, Lenore appariva più bella che mai; la delicata fragilità dei suoi tratti esibiva un nuovo tipo di determinazione dopo il rapimento, i suoi capelli quasi corvini erano raccolti indietro in un’acconciatura semplice, che in qualche modo le donava ancora più di quelle che in passato avevano richiesto sforzi estremi da parte delle domestiche, e i suoi occhi… Devin sentiva di poter restare immobile a fissarli per sempre.

“Devin,” disse, porgendogli una mano. Lo tirò a sedersi accanto a lei. “Mi fa piacere vederti. Non pensavo che saresti venuto qui.”

“Ho forse sbagliato a venire?” chiese Devin con un broncio. “Io… non vorrei causarvi dei problemi.”

Sapeva che non era normale che un giovanotto di bassa estrazione sociale come lui visitasse una principessa nei suoi alloggi. Non voleva fare niente che potesse portare alla disapprovazione per Lenore.

“No, sono felice che tu sia qui,” rispose lei, e il cuore di Devin saltò un battito. “Io… speravo che saresti venuto, ma pensavo che con tutto quello che hai da fare per il Maestro Grey, non avessi tempo. Pensavo che ti fossi dimenticato di me.”

“Non potrei mai scordarmi di voi,” rispose Devin, e poi rifletté su quelle parole. “Sono solo… Sono solo stato molto impegnato.”

“Deve essere strano lavorare per uno stregone,” replicò Lenore. “La spada che hai forgiato era bellissima, comunque. Sono sicura che Rodry l’avrebbe…”

Ingoiò l’ultima parola e Devin annuì, perché nonostante Rodry non fosse stato suo fratello, riusciva comunque a comprendere il dolore della sua perdita. “Grazie,” disse, perché se c’era una persona che voleva apprezzasse qualcosa che aveva fatto, quella era Lenore. “In realtà, questo è in parte il perché sono qui. Io… Il Maestro Grey mi sta inviando a fare un altro lavoro per lui. Non posso dire di cosa si tratta, ma starò via almeno per un poco.”

Era sconforto quello che Devin scorgeva adesso nei suoi occhi, o stava solo immaginando che lei provasse tutto ciГІ che sentiva lui al pensiero di non potersi vedere?

“Questo è… un peccato,” disse Lenore. “Mi fa sempre piacere averti nei pressi. Io… Io apprezzo averti qui.”

“Io apprezzo stare qui,” replicò Devin. “Ma credo di dover fare questa cosa e, prima di andarmene, volevo… Beh, volevo darvi una cosa.” Realizzò come suonava tutto ciò. “Voglio dire, perché il regalo nuziale che vi ho fatto ha finito per essere un regalo nuziale per vostro marito.”

“Mio marito, sì,” affermò Lenore come se, per un momento, si fosse quasi dimenticata di Finnal.

Devin colse la sua occasione ed estrasse un piccolo frammento di metallo stellare che era avanzato dalla forgiatura. Lo aveva lavorato, cercando di rafforzare la sua abilità nel processo, dandogli la forma di una serie di sfere a gabbia che si incastravano l’una nell’altra, ciascuna muovendosi liberamente dentro la successiva. Al centro, aveva incastonato un pezzo di vetro colorato, cosicché ogni movimento delle sfere del metallo stellare attorno a esso, cambiava il modo in cui la luce lo colpiva.

“Non è molto,” disse Devin. “Di certo non è comparabile a una spada, ma…”

“È bellissimo,” rispose Lenore, tenendolo nel palmo della mano. “Lo amo.”

Ed io amo voi, voleva dire Devin, ma non lo fece, non poteva. Non con una principessa; una principessa sposata, oltretutto.

“Lo terrò vicino per ricordo mentre sarai via,” aggiunse Lenore. “Lo custodirò con cura.”

“Questo è… Sono molto felice,” replicò Devin. Perché doveva essere così difficile trovare le parole attorno a lei? “Dovrei andare. Gli altri mi stanno aspettando.”

Prese fugace la mano di Lenore, cercando di definire se fosse appropriato o meno baciarla. Forse no; quindi si alzГІ e si diresse alla porta.

“Devin,” gridò Lenore prima che la raggiungesse. Lui si voltò, speranzoso. “Io… Mi mancherai mentre starai via.”

“Grazie, anche voi mi mancherete,” rispose e poi si precipitò fuori dalla stanza, maledicendosi a oltranza per non essere riuscito a dire l’unica cosa importante.

Di certo, qualsiasi cosa fosse successa là fuori cercando di raccogliere i frammenti… doveva essere più facile di questo?




CAPITOLO SETTIMO


Intrappolato in una tomba con un drago da una parte e gli Invisibili dall’altra, Renard si era trovato in situazioni più scomode. Non gliene veniva in mente neanche una, ma era certo che dovessero esservene.

In teoria, certo, poteva rendere l’intera questione molto semplice: poteva aspettare che il drago se ne andasse e poi uscire per incontrare gli Invisibili. Tutto ciò che doveva fare, era porgere loro l’amuleto che anche adesso drenava le sue forze come un foro sul fondo di un serbatoio.

Non poteva farlo, perГІ. Al contrario, Renard avrebbe dovuto uscirne con le maniere forti.

Controllò cauto le pareti della tomba interna, sperando che vi fosse una qualche via d’uscita nascosta, una fessura o un tunnel che non c’erano stati quando i creatori del posto lo avevano costruito sulla pendenza del vulcano. Un modo carino e comodo per uscire non sembrava troppo esigente come richiesta, giusto?

A quanto pareva, lo era; il che significava che o passava da dov’era arrivato, oppure… oppure usciva dall’apertura soprastante lo spazio principale del mausoleo. Abbracciare la sua morte contro essere catturato dagli Invisibili per cercare di oltrepassarli… Messa così, non aveva proprio scelta.

Renard aprì la serratura delle porte dorate della tomba con i suoi arnesi, udendone lo scricchiolio, sentendo il sudore scorrergli sulla fronte al pensiero di cosa poteva esserci appena oltre. Ancora il suono dei graffi; il drago artigliava per entrare e Renard restò immobile, finché il rumore cessò. Attese un altro minuto, poi due.

Poteva restare lì seduto per sempre ad ascoltare ma, prima o poi, avrebbe dovuto muoversi. Lo fece, aprendo la porta scricchiolante e affacciandosi. Il cielo soprastante era più tenue, la luce nel mausoleo meno forte adesso. Renard non osò accendere la sua lanterna, però, perché quello avrebbe senz’altro attirato l’attenzione della bestia. Al contrario, scivolò fuori, osservando quanto era visibile con la luce naturale.

LaggiГ№, dal lato opposto della recinzione cavernosa, poteva vedere la mole della creatura. Era ferma, raggomitolata quasi come un gatto che dorme, il suo fianco si sollevava e abbassava lento, seguendo il suo respiro. Renard si tenne a distanza, sospettando che persino il rumore piГ№ impercettibile avrebbe svegliato il drago.

Nella luce tenue, ispezionГІ le pareti interne del cimitero al meglio che poteva. I livelli piГ№ bassi erano ricchi di incisioni e monumenti; una scalata facile per uno come lui. PiГ№ su, perГІ, la pietra lavorata pareva lasciare spazio alla roccia naturale e quella sembrava una scalata molto piГ№ difficile di quanto era stata quella esterna.

O la faceva oppure restava ad attendere che il drago si svegliasse, dunque Renard iniziГІ a scalare. Si mise in partenza, usando la statua di un guerriero dimenticato per posarvi un piede, poi si lanciГІ piГ№ su per aggrapparsi a un frammento superiore di pietra lavorata. OscillГІ con il corpo, piegandosi nel processo, spostandosi ancora piГ№ in alto.

Renard sussultò quando un grottesco volto di pietra, al quale era aggrappato con la mano, cedette; parte di esso iniziò a ruzzolare giù. I suoi riflessi, almeno, erano ancora buoni e la sua mano scattò ad afferrarlo, invece di lasciare che sferragliasse contro al suolo sottostante. Per un momento, Renard si tenne con una mano sola, mentre con l’altra sorreggeva quel volto di pietra deformato che sembrava trovare l’intera situazione molto divertente. Era felice che almeno per uno dei due lo fosse.

Cauto, perlustrГІ la parete con i piedi e trovГІ un supporto. Con altrettanta precisione, sistemГІ il volto di pietra su una sporgenza rocciosa dalla quale non sarebbe caduto, rischiando di disturbare il drago sottostante.

Si mosse più rapido adesso, consapevole che neanche la sua presa avrebbe retto tanto a lungo. Si spostò da un supporto all’altro, allungandosi, mettendo in posizione una mano o un piede, spostando il peso. Cercò di definire il suo percorso fino alla zona che esibiva la vegetazione e il respiro gli si bloccò quando notò un problema.

C’era un punto in cui la roccia aveva ceduto, eliminando qualsiasi supporto. Se avesse avuto tempo in uno spazio come quello, non sarebbe stato un problema, perché Renard avrebbe lavorato con punte e martelli e si sarebbe creato una via con le sue mani. Lo aveva fatto una volta nella stanza del tesoro di un mercante, dove persino toccare il suolo avrebbe attivato un’elaboratissima serie di trappole. Adesso, però, non sapeva quanto tempo aveva a disposizione prima che il drago si svegliasse, e non poteva certo far rumore smartellando sulla roccia. Quello lasciava aperta solo un’opzione: sarebbe dovuto balzare oltre al vuoto per raggiungere il supporto successivo.

Per un momento, Renard pensò di tornare a terra e uscire dal tunnel principale, per cercare di sgattaiolare oltre gli Invisibili. In qualche modo, però, dubitava che avrebbe funzionato. Lo avrebbero catturato e poi…

Sì, c’erano senz’altro cose peggiori di cadere.

LanciГІ uno sguardo in basso in quel momento e, sotto di lui, vide che uno dei grandi occhi dorati del drago era aperto.

Quello spinse Renard a balzare come nient’altro poteva fare. Udì il ruggito del drago mentre si spingeva in alto e il suo corpo sembrò sospeso nel vuoto per un periodo infinito, prima che le sue mani trovassero una sporgenza rocciosa più su. Aveva i bordi affilati, che gli tagliarono in profondità nelle mani, ma non gli importava; adesso contava solo continuare a salire, fino all’aria aperta sulle pendenze del vulcano.

Il drago uscì, lasciando il vuoto alle sue spalle; ali forti lo sollevarono su nel cielo. Volò in cerchio e, per un attimo, Renard pensò che potesse voltarsi e dirigersi dritto verso di lui. Tuttavia, qualcosa sembrò distrarlo, forse la vista di una preda in lontananza, o forse qualcos’altro. Virò e si allontanò battendo rapido le sue ali.

Renard si adagiò sulla schiena per lunghi secondi, cercando di riprendere fiato dopo quegli ultimi momenti di terrore. Non poteva rimanere così a lungo, però, perché non aveva modo di sapere quando la bestia avrebbe deciso di tornare a prenderlo. Ancora peggio, in assenza del drago, gli Invisibili potevano pensare che valesse la pena addentrarsi sulla sua scia dentro al mausoleo, potevano essersi accorti che se n’era andato.

Si costrinse in piedi, solo perché gli serviva quanto più vantaggio possibile con dei nemici del genere; e loro erano suoi nemici adesso. Lo erano diventati dal momento che li aveva sfidati, dal momento che non si era limitato a tornare da loro con l’amuleto.

Lo avrebbero forse ucciso lo stesso, certo. Le persone di quel genere erano quelle che avrebbero tradito un ladro. Esisteva ancora l’onore nel mondo? Certo, facendo così, avrebbe messo più che se stesso in pericolo. Cosa avrebbero potuto fare a Yselle, o agli altri residenti delle terre di Lord Carrick?

Renard doveva solo sperare che fossero troppo impegnati a scovare lui e quella sembrò una speranza stupida per un uomo. Tuttavia, si mise in partenza lungo la pendenza opposta del vulcano e verso i terreni coltivati più sotto, muovendosi rapido adesso. Poteva sentire il piccolo gocciolio di forza che correva via da lui tramite l’amuleto, ma sembrò che finché non avesse provato a usarlo, sarebbe rimasto solo un gocciolio.

Proseguì ed era alla fine della pendenza, quando si guardò indietro e vide tre figure incappucciate più in alto in lontananza. Sembrava che Void, Wrath e Verdant avessero capito cosa aveva fatto e quello significava che doveva correre.

Corse, precipitandosi verso i campi attorno a lui, ma il paesaggio sembrò esplodere di pericoli. Un albero agitò i rami nella sua direzione e Renard a malapena riuscì a schivarli. Una roccia si scompose in frammenti affilati come rasoi, costringendolo a gettarsi a terra. Si alzò e continuò a correre.

Balzò oltre una parete bassa e rocciosa e corse attraverso i campi, guizzando da una parte all’altra, abbassandosi e sperando che i segreti oscuri infusi negli Invisibili avessero un raggio limitato. Guardandosi alle spalle, pensò che i raccolti lo oscurassero alla loro vista, ma sapeva bene di non potersi fermare. Aveva abbastanza esperienza in materia di fughe da sapere che non significava niente.

Proseguì e adesso trovò un ruscello ampio, torbido e forse profondo fino alla vita. Oltre a esso, c’era un campo aperto con solo un accenno di manto, alberi e cespugli. Un uomo come Renard sarebbe riuscito a nascondersi lì, ma per quanto tempo? Doveva esserci un nascondiglio migliore. Guardando il fiume, Renard pensò che avrebbe potuto vedervi qualcuno, ma cosa se…

“Ti troveremo!” ringhiò Wrath da qualche parte dietro di lui. “E poi ti scioglierò gli occhi che hai in cranio!”

Gli venne un’idea a quel punto e dunque fece un respiro profondo, si immerse nelle acque torbide e si accucciò sul fondale.

D’improvviso, quelle acque sedimentose sottrassero il mondo soprastante alla sua vista, se non per ombre sbiadite. L’acqua era fredda e scorreva rapida attorno a lui, ma Renard restò dov’era e non osò muoversi quando tre sagome comparvero sulla sponda più su. L’eco delle loro voci filtrò giù a raggiungerlo.

“…parte è andato?” domandò Wrath, con indosso la sua rabbiosa maschera rossa.

“Lo troveremo,” rispose Verdant con la sua voce melodica, e gridò. “Esci, Renard, tesoro. Vieni a giocare con noi!”

C’era qualcosa in quel tono di voce che incoraggiava gli arti di Renard a reagire per conto loro. Dovette battersi per tenerli saldi sul posto, e dovette battersi anche per altro. I suoi polmoni stavano iniziando a dirgli che era il momento di risalire per prendere aria, ma se l’avesse fatto, sarebbe sbucato dritto sotto agli occhi degli Invisibili. Il terrore di ciò che poteva accadere trattenne la sua testa sott’acqua.

Quanto a lungo sarebbe resistito senza affogare, però… I suoi polmoni iniziavano a bruciare mentre, sopra di lui, Void si stava guardando intorno, più spaventoso di tutti gli altri messi insieme con quella sua maschera bianca.

“Andate avanti,” disse. “Trovatelo. Trovate il reperto.”

Sopra a Renard, Verdant avanzò fino alla sponda. Rami e piante rampicanti si allungarono sopra all’acqua, formando un ponte vivente che scricchiolava e si piegava mentre quei tre vi camminavano sopra, continuando la loro caccia.

Persino quando scomparirono, Renard restò lì sotto il più possibile, prima di risalire per prendere fiato. Resistette finché la vista non iniziò a rabbuiarglisi, perché ogni secondo che aspettava era un altro che i suoi inseguitori usavano per allontanarsi da lui.

Alla fine, non resistette più e risalì in superficie, ansimando.

“Dannazione,” disse fra sé e sé. “Dannati tutti loro!”

Tenne in alto l’amuleto, la sua forma ottogonale che conteneva la squama di drago, circondata da rune e gemme di diversi colori. Era ciò che volevano, ma Renard sapeva di non poter dare qualcosa di così potente a persone di quel genere. Né poteva tenerlo con sé, non quando lo sentiva spremergli la vita, pezzettino dopo pezzettino.

Ciò di cui aveva davvero bisogno era uno stregone di un qualche genere che gli dicesse cosa farne, ma Renard non ne conosceva neanche uno. Non aveva esperienza in materia di amuleti magici, nessuna esperienza di draghi o formule in grado di scuotere il mondo, né di nessuna di queste stranezze. Per fortuna, però, aveva sì tantissima esperienza di beni rubati.

Sapeva esattamente come liberarsene.




CAPITOLO OTTAVO


Quando Vars entrò a passo lungo nella grande sala, era già affollata fino alle sue pareti in pietra. C’era così tanta gente che i grandi quadrati di tappeto che di norma dividevano per rango le persone, avevano lasciato spazio solo a un’approssimazione generale. C’erano i nobili e i capi delle Case dei Commercianti, delle Armi, degli Accademici e persino dei Sospiri. Le porte all’estremità opposta erano aperte, per permettere ad altri di ascoltare e alle bandiere poste lungo le pareti di sventolare, violente quasi come le loro bocche. Vars non aveva mai apprezzato il brusio della corte e, adesso, con così tante voci che bisbigliavano insieme, gli risultava ancora più irritante.

“Dobbiamo tenere d’occhio lo Slate,” disse un nobile di secondo rango.

“Perché?” scattò in risposta un cavaliere. “Nel caso in cui Ravin riesca a costruire altri ponti mentre siamo distratti?”

“Esatto,” ribatté il primo uomo, a quanto pareva ignaro della sua stupidità.

“Ciò di cui abbiamo bisogno adesso è la coordinazione tra noi e le vostre forze personali,” intervenne il Comandante Harr. Il comandante dei Cavalieri dello Sperone era lì in piedi con la sua armatura completa; la barba grigia gli scendeva dentro al pettorale, facendo chiedere a Vars se quell’uomo la tenesse addosso persino quando dormiva. “Dobbiamo evitare qualsiasi lacuna nelle nostre difese.”

“Questo significa che dovremmo accollarci il costo di questo?” domandò il capo della Casa dei Commercianti, che era in piedi laggiù con indosso tante catene d’oro che forse ne sarebbe bastata una a finanziare la guerra.

“Dobbiamo studiare ciò che sta accadendo,” prese la parola il capo degli Accademici, severo nei suoi indumenti scuri e con la testa rasata.

“Dobbiamo aumentare la produzione,” affermò il rappresentante della Casa delle Armi.

Almeno la donna della Casa dei Sospiri tacque, sembrando soddisfatta di limitarsi a osservare il dibattito. Vars non sapeva che farsene dell’opinione di un semplice cortigiano e restò in piedi nell’ombra del trono, ascoltandoli andare avanti, in attesa che uno di loro notasse la sua presenza. I secondi correvano, mentre continuavano a battibeccare l’uno con l’altro; alcuni sostenevano di dover restare al castello, altri proponevano invece di avanzare. Oltre a ciò, pareva non esserci proprio un punto d’incontro, con ogni fazione che aveva una sua strategia, una sua idea di quali truppe schierare e dove, e su come e chi avrebbe dovuto pagare.

Poteva avvertire la rabbia crescergli dentro, lavando via persino la paura di avere così tante persone schierate davanti. Camminò attorno al trono, sistemandovisi davanti deliberatamente.

“Silenzio!” gridò ma, anche allora, solo alcuni di loro tacquero. “Se non cade il silenzio qui dentro, farò sgomberare la sala dalle guardie!”

Ottenne il silenzio e, a quel punto, tutti lo stavano fissando. L’ansia lo raggiunse, facendolo solo sentire peggio. Tutti quegli occhi fissi su di lui lo facevano solo sentire piccolo e vulnerabile, e Vars lo odiava.

“Sono io il re adesso!” gridò, in difesa da quegli sguardi. “State parlando come se foste voi a decidere come gestire l’invasione, ma sarò io a farlo!”

“Vostra altezza,” disse un conte avanzando. “Con tutto il rispetto, questa è una decisione che condiziona l’intero regno e vostro padre è ancora vivo; è importante che tutte le parti coinvolte dicano la loro.”

Vars fulminò l’uomo con lo sguardo. “Davvero? Quindi dovrei chiedere ai contadini che lavorano la tua terra cosa pensano?”

Quello sembrò far arretrare l’uomo. “Vostra altezza, noi nobili non siamo contadini. La nostra posizione confrontata alla vostra non è equivalente alla loro rispetto alla nostra.”

“Il modo per rivolgersi a un re è vostra maestà,” scattò Vars in risposta.

“Ma voi siete il reggente del re, vostra altezza,” disse un altro nobile, che Vars riconobbe come il Marchese delle Terre di Sotto. “Se dobbiamo rispettare qualsiasi decisione presa a questo proposito, è anche vero che avete ricevuto il ruolo solo in quanto prossimo in linea di successione al trono. Nessuna decisione definitiva è stata presa.”

“Nessuna decisione definitiva riguardo a cosa?” domandò Vars e poteva sentire il controllo della situazione sfuggirgli di mano.

“Riguardo se sarete voi il re,” rispose il marchese.

Vars voleva che l’uomo fosse decapitato per quello, voleva scendere fino a dov’era e strangolarlo a mani nude. Eccetto che… il marchese era un uomo imponente e Vars poteva avvertire la paura crescergli dentro, bloccarlo sul posto, rifiutarsi di permettergli di fare una qualsiasi delle cose che desiderava così ardentemente.

“Tali parole sfiorano i confini del tradimento, mio signore,” disse una voce dal retro e Vars tirò un sospiro di sollievo quando riconobbe Finnal, che si faceva strada tra la folla. “E non è qualcosa che mio padre approverebbe.”

L’uomo arretrò un poco. “Non volevo insinuare niente, sennonché i tradizionali ruoli della nobiltà devono …”

“Il tradizionale ruolo della nobiltà è supportare il re,” lo interruppe Finnal, mentre faceva un inchino nella direzione di Vars. “Vi prego di continuare, vostra maestà.”

Incoraggiato dal sostegno di Finnal, Vars potГ© avvertire un poco di sicurezza tornare in lui.

“Abbiamo ricevuto l’informazione che la gente di Re Ravin sta attaccando tramite l’Isola di Leveros,” disse Vars. “Mia sorella ha rischiato la sua stessa vita per portarci il messaggio.”

Erin poteva essere definita sua sorella, adesso che aveva fatto qualcosa di utile; ma sarebbe tornata presto solo la sua sorellastra.

“Lo sappiamo,” intervenne il Comandante Harr dello Sperone. “La domanda è che cosa dobbiamo fare per contrattaccare. Le implicazioni militari sono complesse e…”

“La situazione militare è semplice,” lo interruppe Vars. “Sappiamo che il nemico non pensa che ci muoveremo. Sappiamo che stanno attaccando a nord. Pensano che siamo del tutto distratti dall’attacco ai ponti del sud. Invece, noi li raggiungeremo.”

“Cosa significa?” domandò il Comandante Harr. In qualche modo, quel vecchio uomo aveva sempre avuto un modo di porre delle domande a Vars che lo faceva sentire come se non sapesse niente. “Quali truppe manderemo e quali lasceremo indietro?”

“Che domanda, Comandante,” disse Vars. “Manderemo i tuoi cavalieri.”

“Tutti?” la voce del rappresentante della Casa delle Armi echeggiò nella sala. “Ma in questo modo non lasceremo Royalsport indifesa?”

“Le guardie resteranno qui, ovviamente,” disse Vars. “Insieme alle forze private dei miei leali nobili.” Si guardò intorno per assicurarsi che fossero leali. “Ma i Cavalieri dello Sperone cavalcheranno a nord per affrontare la minaccia, insieme a quanti più soldati possano viaggiare in fretta. Li attaccheremo appena toccano terra, cogliendoli alla sprovvista.”

La genialitГ  del piano giaceva nella sua semplicitГ  e immediatezza. Significava anche che lo scontro avrebbe avuto luogo molto lontano dalla capitale. Vars avrebbe potuto prendersi i meriti della vittoria, senza neanche essersi avvicinato alla guerra. Era il piano migliore, dopotutto.

“Io non credo sinceramente che…” esordì il Comandante Harr, ma Vars lo interruppe.

“Siamo in vantaggio,” disse. “Il nostro nemico crede di averci in trappola e di poter devastare il nord del nostro regno come vuole. Quella situazione non durerà a lungo. Penserà che i messaggeri voleranno a sud appena sbarca. Quindi dobbiamo agire adesso. Metteremo tutte le nostre forze in questo colpo decisivo e li stermineremo. Metteremo la testa di Re Ravin in cima a un palo e faremo capire a tutti che il Regno del Sud non doveva attaccarci, non doveva rapire mia sorella, uccidere mio fratello, per non parlare dell’omicidio di mio padre!”

A Vars non importava nessuna di queste cose, ma se coloro che erano sotto di lui vi tenevano, lui le avrebbe usate a sua convenienza.

Nonostante ciò, continuavano a discutere e a parlottare fra loro, quando avrebbero invece dovuto esultare al suo piano e cantare il suo nome. C’erano così tante persone che parlavano insieme, che Vars riusciva solo a udire qualche frammento dei loro discorsi.

“I precedenti storici sono preoccupanti…” affermò il capo degli Accademici.

“Una mossa tale significherebbe che dobbiamo sostenerne gli oneri,” si intromise un conte.

“…per non menzionare le conseguenze per il paesaggio attraverso il quale si muovono,” aggiunse uno dei cavalieri, come se i cavalieri ordinari potessero mettere bocca in tutto ciò.

Persino la donna dalla Casa dei Sospiri sembrГІ pensare di potersi intromettere, bisbigliando a chi aveva vicino parole che Vars non poteva sentire. Per sua sorpresa, alcuni di loro annuirono addirittura, come se qualcuno di quella Casa potesse saperne di piГ№ di guerra rispetto al reggente del re.

“…dovremmo aspettare gli ordini di Re Godwin appena si sveglia,” affermò un nobile e Vars poté avvertire la rabbia crescergli dentro.

Ancora una volta, Finnal si intromise, alzando le mani. “Signore e signori,” disse. “Abbiamo avuto milioni di occasioni per discutere di questo, ma è arrivato il tempo di agire. Il reggente del re ha preso una decisione per il bene del paese e sta a noi comportarci di conseguenza. Io, in quanto membro della sua famiglia e suo amico, so che il Reggente del Re Vars ha a cuore la sicurezza di tutti noi. Dobbiamo farlo; dobbiamo colpire le forze di Re Ravin che si trovano a nord tutti insieme!”

Quello ottenne un urrà e Vars gli fu grato, soprattutto quando vide che i cavalieri nella folla stavano iniziando a muoversi, dirigendosi in cortile per raccogliere le provviste. C’era un forte senso di soddisfazione che derivava dalla consapevolezza che le persone stavano facendo come aveva comandato, anche se era stato necessario l’aiuto di Finnal.

Allo stesso tempo, però, era arrabbiato. Arrabbiato che le persone gli avessero parlato sopra, lo avessero messo in discussione e guardato dall’alto, come fosse re solo di nome e non di fatto. Era una situazione che non poteva sopportare, una che non poteva permettere.

Doveva agire.




CAPITOLO NONO


Re Ravin era in piedi sulla prua della sua nave ammiraglia, la sua armatura brillava come quella di un eroe, la sua corona giaceva sistemata sui suoi riccioli bruni e le sue mani erano adagiate sulla spada, per essere certo di apparire proprio come il re guerriero che era, mentre la sua armata si avvicinava alla costa vicina alla cittГ  di Astare.

Sentiva un’ondata di soddisfazione. Avvertiva sempre una specie di gioia quando si rendeva conto che le cose erano andate come le aveva pianificate, che si trattasse della conquista di una creatura cacciata, di una donna o di un regno.

Aveva provato la stessa soddisfazione quando aveva sottratto il trono a suo padre tanti anni prima, ne aveva avuto un assaggio a ogni gruppo di Taciturni che si era infiltrato nel Regno del Nord al suo comando, a ogni spia che gli aveva recapitato ulteriori dettagli sul paesaggio, sui villaggi, sulle scorte. Aveva pianificato con minuzia l’imminente conquista e, adesso, l’intera missione si stava dispiegando proprio come avrebbe dovuto.

Sapeva che i suoi uomini lo avrebbero guardato a quel punto, in attesa di ricevere ulteriori comandi. Una dozzina di navi stava già attaccando la città, ma le restanti attesero, tenute immobili sul posto dalla sua autorità. Nessun uomo avrebbe mai osato agire senza un suo comando, e non solo perché tutti sapevano che farlo avrebbe significato la morte loro e delle rispettive famiglie. Ogni uomo laggiù era consapevole di conoscere solo una parte dell’insieme, del fatto che solo il loro re comprendeva il piano nella sua interezza.

Così doveva essere: un re che sciorinava tutti i suoi piani non sarebbe rimasto re a lungo. Bastava pensare a quello stolto di suo padre, che aveva confidato a Ravin ogni suo pensiero, ogni idea. Aveva reso semplice unificare il regno una volta scomparso.

“Beh?” domandò Ravin, voltandosi verso il ponte della nave. I Comandanti aspettavano lì, uno della flotta, uno dei soldati e un terzo vestito con gli indumenti della gente comune come i Taciturni. C’era anche un accademico che portava un messaggio di un uccello messaggero. Dato che pareva il più terrorizzato, Ravin lo lasciò in attesa, indicando invece l’ammiraglio della flotta.

“Vostra maestà,” disse l’uomo. “Il viaggio da Leveros ha prodotto delle perdite minime. La squadra di perlustrazione ha fatto sbarcare le truppe come avete ordinato ed è adesso tornata in posizione con la flotta. Le altre navi aspettano i vostri ordini per procedere verso la costa.”

Ravin rivolse la sua attenzione al comandante delle truppe che aveva inviato ad Astare. “E tu?”

L’uomo fece un inchino. “Vostra maestà, l’assalto alla città sta già procedendo. Le difese sono minime e prevediamo di acquisirne il pieno controllo nel giro di poche ore. Gli uomini hanno ricevuto istruzione di uccidere chiunque opponga resistenza.”

“E i miei Taciturni?” chiese Ravin alla terza figura laggiù.

“Sono posizionati in insediamenti all’interno del regno, pronti a ricevere le vostre truppe nella marcia da Astare a Royalsport,” rispose l’uomo.

Re Ravin annuì. Alla fine, si voltò verso il messaggero spaventato. “Tu mi dirai che le mie forze a sud sono state sconfitte.”

Non era una domanda, ma l’uomo annuì. “Re Godwin è caduto nel combattimento e il Principe Rodry è morto, ma sono riusciti a recuperare la Principessa Lenore e il ponte è stato distrutto con le vostre forze sopra,” l’uomo quasi soffocò.

Re Ravin alzò le spalle e vide che il messaggero spalancò gli occhi sorpreso. “Pensavi che non lo avessi previsto?” chiese. “L’attacco a sud è sempre stato destinato a fallire; e che mi interessa se hanno recuperato la principessa?”

Non che la principessa non sarebbe diventata sua a tempo debito. Tutto nel Regno del Nord lo sarebbe diventato. Camminò a passo allungato al fianco della nave, scansionando la vastità della sua flotta. Infiniti uomini erano in piedi già pronti, prelevati da tutte le parti del suo regno. C’erano tribù dei deserti e abitanti delle città armati, ex pirati dalla costa e legionari schiavi che non avevano mai conosciuto altro che violenza. Erano tutti vestiti nel rosso dei suoi colori adesso e tutti indossavano la medesima armatura.

Quella era parte per cui questa invasione doveva succedere. Ravin aveva unificato il suo regno, conquistato tutti i piccoli dissidenti, distrutto coloro che potevano cercare di opporsi a lui, eppure sapeva che un uomo poteva tenere così tanto insieme solo con la forza. Era meglio a quel punto dare loro un sogno, una causa… un nemico. Dicendo loro che era arrivato il momento di affrontare il Regno del Nord, un migliaio di frammenti che avrebbero potuto lottare fra loro, si erano trasformati in un pugno chiuso con cui colpire.




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